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23 settembre 2014 2 23 /09 /settembre /2014 17:03

DaEros e la nudità

La poetica di Ninnj Di Stefano Busà

 

(a partire ...dall'incipit )

L’amore non è né comodo né facile,

ci arde solamente dentro come una scintilla vitale,

ci scorre tra le pieghe come un istante perfetto

nell’arroganza di solitari silenzi.

 

Iniziare da questa citazione testuale della plaquette: Eros e la nudità significa penetrare a fondo nella verità e nella vitalità della poetica di Ninnj Di Stefano Busà. Un canzoniere d’amore che investe con tutta la sua portata emotiva la sensibilità di ognuno di noi. Un canto totale, plurale, apodittico, dal sapore sabiano, che tanto si colloca nella nostra tradizione letteraria. E che tanto rappresenta l’inquietudine del vivere, leitmotiv nelle opere della Busà. C’è in lei, nel suo canto, un azzardo continuo verso mete che allarghino sguardi oltre la brevità della nostra vicenda. Partendo dalle cose semplici, dai minimalismi, per conservare nelle fughe il respiro fecondo della terra. L’Autrice, con potenza evocativa e con leggerezza versificatoria, riesce a dare corpo a tutta la sua substantia, ricorrendo all’humanitas del suo essere e alla grande esperienza di frequentazione letteraria. E che frequentazione! E lo fa amalgamando sentire e dire. Lo fa con una simbiotica e quanto mai rara fusione fra anima e voce, dove i barbagli e le folgorazioni ci prendono per mano e ci elevano oltre, facendoci dimenticare, con il Bello, il rapporto della vicenda umana col tempo; le miserie del quotidiano. Ed è così che, evitando l’insidia dei luoghi comuni e del verso facile, ci trasferisce nelle alte sfere della Poesia che, attraverso un percorso irto e petroso, riesce ad innalzarsi fino agli azzurri più intensi del cielo; su cime da cui si aprono orizzonti di larga estensione. D’altronde l’amore non è né comodo né facile, dacché è vita, partecipazione, soluzione e insoluzione, aspettativa e dolore, quietudine e inquietudine; groviglio di sensazioni che si avviluppano in un silenzio rumoroso. Ed è proprio il silenzio ad avvicinarci al sogno e al volo, a quelle fughe di romantica memoria, anche, che fanno del sentimento dei sentimenti una categoria dello spirito d’insaziabile desiderio. Una categoria che si fa nell’Autrice una cifra stilistica dai toni essenzializzati e scarnificati per rompere gli stampi del consueto, per ricuperare, con pienezza ontologica,  lo slancio più alto della letteratura erotico-esistenziale. Ed è in questi silenzi che l’amore arde dentro, e scorre “tra le pieghe” come un istante perfetto. Come se la perfezione fosse là. In quello stato emotivo che pensiamo definitivo, ultimato, completo, realizzato. Ma, purtroppo, non è così; niente è definitivo, men che meno l’amore; men che meno l’aspirazione al tutto a cui la Busà aspira; dacché Ella è poetessa dell’indefinito, di tutto quello che esiste tra una parola e l’altra; e l’indefinito ci chiama e ci assilla, ci tormenta e ci chiede, pretende quelle definizioni che si fanno a dir poco improbabili, considerando le possibilità che ci sono concesse dalle ristrettezze del nostro esser-ci:

 

Mentono ora le tue notti, si allungano

sul selciato dormienti e ingioiellati

dell’oro della terra.

Tutto l’amore è in fuga da se stesso,

sul petto, solo qualche rara orchidea

sa il dolore rappreso nel sangue.

Spore in preda al delirio,

l’amore trova sempre l’orlo dell’abisso

in cui cadere e poi risuscitare.

 

Cadute e risalite di generosa intensità lirica. Di generosa forza epifanico-introspettiva che ci dicono del vivere e de redito suo.

Ed è qui la grandezza della poesia di Ninnj Di Stefano Busà, nell’analisi approfondita, che mette a nudo un’anima contaminata da questo morbo dolce-amaro, che è la vita. Lo fa con un cuore a fior di pelle e con una parola che asseconda, diligentemente, ogni richiamo emozionale od ogni commistione fra intelletto e passione affidata al supporto d’intrecci narratologici. Alle ragioni e alle figure decisive dell’esistenza. Figure che si fanno spiritualità, vissute e ri-vissute con sguardo fermo e con occhi lucidi; con sobbalzi intimi limati dal tempo.  

Ma ci sono le assenze, le sottrazioni che chiedono l’aiuto di configurazioni e cromie paniche per farsi concrete: l’acqua che rigurgita d’insetti, giunchiglie che impazzano, ombre arruffate, baratri di cellule viventi. Questo è l’amore che più non folgora:

 

Impazzano giunchiglie nei fossati

e l’acqua rigurgita d’insetti.

Non resta che la resa,

appena un’ombra un po’arruffata

gioca coi fantasmi, chiamandoli per nome.

Un brivido di stelle,

un baratro di cellule viventi:

l’amore che più non folgora.

 

Ma interviene la memoria con la sua forza affrancatrice, con la sua carica di schegge furtive, con le sue alcove rigeneranti a riportare a vita giorni di sole e notti di sospiri:

 

S’impastava al verde degli anni

l’amoroso gaudio, si coniugava

ai corpi come l’oro al manto stellare,

quando nel buio era bello tacere.

Come un mantra inonda

il cuore della terra e vi s’incesta

nel gesto risoluto e sereno,

come di astrofilo al suo cielo.

 

Una vera simbiosi fra cieli stellati e ghiotti silenzi a inondare il cuore della terra, a creare immagini che avverano fusioni fra astrofili e cieli. Nessi di grande rilevanza scenica, di efficace resa visiva, dove l’eros si fa interprete principale di un film in bianco e nero, ricoprendo parti di realistica pluralità: il fedele compagno di vita, colui che tradisce ed esaspera, colui che si fa vero alimento esistenziale, colui che porta dolore e che immette in una strada che tanto sa di via crucis. Un sentimento ritrattato in tutto il suo climax, disegnato a nudo in tutta la sua molteplicità.    

E anche la giovinezza viene affrontata con tale liricità, con tale controllo emotivo, con tale ariostea visione, che tutto scorre con una resa di generosa eufonica musicalità. Segno di spontaneità, di netta ispirazione trascinatrice, e di materia macerata in un’anima da tante primavere:

 

Fummo fragranza di terre lontane,

vento di passioni, mere effrazioni,

dentro corpi felici.

                             Era la giovinezza,

o l’onda del mare alterata dal vento

che inondava di spruzzi il nostro viso.

Una pur breve eternità cogliemmo

da vertigine d’amore.

 

Breve eternità di  vertigini d’amore. Una piena coscienza della vicenda umana. La consapevolezza della precarietà del nostro esser-ci. Ma è proprio su tale consapevolezza che si innesta questo brivido; questa vampata di luce che più si avvicina alle soglie dell’irraggiungibile per la miopia delle facoltà umane. Un attimo per cui vale la pena soffrire, vale la pena vivere, con la speranza di gioire, magari,  pur sapendo che la nostra storia è un tempo donato dalla morte. Ed è con la fantasia, con le ali della poesia, che la poetessa riesce a ovviare alle aporie del quotidiano; e, dacché sa, e ne è cosciente, che la vita si consuma come un cero d’altare, cerca di nutrirla con tutta la potenzialità dei suoi versi.

 

 

 

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