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13 maggio 2011 5 13 /05 /maggio /2011 15:55

di Ninnj Di Stefano Busà

 

E' vero, c'è stata la recessione mondiale, mezzo pianeta è stato interessato da uno tzunami catastrofico per quanto riguarda l'orientamento economico-finanziario.

La devastante intrusione di prodotti derivati (che non sono affatto quelli della nostrana Parmalat, anche se la inglobano e l'anticipano, respirandone l'aria di malaffare e di brigantaggio economico) ha fatto ora il suo tempo.

La Grande Mela ha proibito l'invadenza dei prodotti inquinati all'interno dell'area politico-sociale che prevede rigide competenze e controlli più capillari.

La nostra Italia, rispetto al resto del mondo è stata colpita solo di striscio, ovvero, si è bagnata i piedi dentro un grande uragano, (afferma il Ministro Tremonti), cioé non è stata travolta e annientata. Ci siamo salvati sfiorando uno tzunami che avrebbe potuto escluderci dall'Unione Europea, avrebbe potuto disintegrarci come nazione, come popolo, come società fondata sull'economia del lavoro e l'impresa. Ma allora perché non si riesce a decollare? perché il PIL (prodotto interno lordo) è bloccato? perché le risorse e le capacità imprenditoriali restano al palo? perché manca il lavoro per milioni di famiglie? perché non c'è possibilità di espansione dei prodotti all'Estero: non c'è in Italia competitività con il resto del mondo globalizzato, ovvero, mettiamola così: il mondo è andato troppo in fretta per la struttura e la conformazione statutaria, giuridico-strumentale, organizzativa, socio-culturale dell'Italia.

Il Bel Paese non è più quello di un tempo, ha avuto certamente occasioni migliori, ma ora è di gran lunga il paese che più agonizza e teme ulteriori peggioramenti.

Senza voler dare toni allarmistici a questa mia nota, voglio formulare la mia ipotesi: l'Italia non cresce perché non risponde alle esigenze della modernizzazione, alle sue accelerazioni repentine, alla sollecitazione degli stati membri che fanno parte della U.E, alla sistemazione dei criteri che la devono regolare e amministrare; ha al suo seguito un carrozzone che fa acqua da tutte le parti, una burocrazia arretrata, una tempistica senza lungimiranza,  una struttura arretrata, ferma ancora al dopo guerra. Appena adesso si va da Milano a Roma in  3 ore, alri paesi hanno strutture adeguate, snellimenti burocratici, adeguate autostrade, fonti di energie alternative, strumenti e infrastrutture all'avanguardia, quanto meno adeguati ai tempi e mezzi di trasporto concorrenziali, di prim'ordine, parlo della Francia (vicina a noi, non è nell'altro emisfero, includo la Germania che con la Merkel ha saputo uscire dalla crisi e alzarsi dalla repentina débaclè di un catastrofismo economico che pure l'aveva travolta) Perché, allora, l'Italia non si rialza?

C'è da chiedersi e da analizzare le varie cause come in un laboratorio di vivisezione. Non si può stare a guardare...Non si può lasciar correre gli altri paesi e fare "i pellegrini" di turno. Prima c'era la Grecia e la Spagna, ora siamo gli ultimi della classe, senza giungere ai paesi dell'Est dove l'economia è un flagello.

Ebbene, volete sapere la mia? proprio perché sono entrati a far parte del sistema europeo certi paesi più involuti e sottosviluppati del nostro, noi abbiamo avuto il peggior declino da < trascinamento> vale a dire, siamo dopo di loro, il paese più svantaggiato dell'area europea. 

La nostra manodopera è cara, il congegno è avvitato su se stesso, ha forti carenze organizzative, resta usurato il meccanismo degli ammortizzatori sociali, un po' obsoleto rispetto ai tempi moderni, (clientelismo e carità cristiana non possono reggere, perché non hanno più modo di "essere" in una società aperta al confronto, al mercato comune, agli scambi internazionali e intercontinentali.

Ci dovremo inventare una nuova strategia di governabilità, un nuovo modello di conduzione politica che faccia parte dell'intero sistema globalizzato senza essere penalizzato da esso. Per farlo, bisogna cambiare la classe dirigente e mentalità, bisogna strutturarsi con le esigenze più moderne in uno stato emancipato, liberale (come pretendiamo di essere).

E' tempo di cambiare rotta, di modificare l'assetto della nave, disarcionarci dalla zavorra, snellire gli affari e le imprese, dare spazio ai giovani, dare fiato, innovazione e ammodernamento alla ricerca, riabilitare, elevare il livello allo studio (che è tra i più bassi), immettere più quote "rosa" al governo. Non si è mai pensato che la donna possa superare l'uomo in intuizione, in management, in imprenditorialità., negli affari. Si è dato per scontato che la politica debba essere fatta da uomini, ma gli uomini sembrano aver fallito in questa impresa in maniera umiliante.

Non fraintendetemi, non parlo da "femminista" non lo sono, sono per la parità, per la pari dignità, blatero da progressista.

E' ora, credetemi, è ora di provare, di dare a questa ns. Italia una sterzata, una ventata d'aria nuova. Chissà che le cose vadano per il meglio e poter tornare ad essere l'Italia del Bel paese come in tempi passati: una piccola perla del mediterraneo, non una zattera raffazzonata in mare aperto per naufraghi da terzo mondo, perché quando si tratta di generosità, di tolleranza e accoglienza, nessuno ci può dare lezione, tranne poi abbandonarci al nostro destino in un frangente apocalittico di diaspore che ci vede trasformati da uomini in uomini-lupi dalle sera alla mattina.

E credo che non si voglia giungere a questo, ma siamo ai segnali che ormai ci ammoniscono di non andare oltre, non facciamoci la guerra tra poveri, perché la xenofobia e l'avversione per "l'altro" non abbia il sopravvento sul capitale umano e civile di ognuno di noi.

Sforziamoci di pensare in grande, agiamo e consideriamo questo momento un momentaneo abbassamento di guardia. L'Italia, oggi, più che mai, ha bisogno di uomimi e donne che sappiano trasformare questo paese messo al palo, in un concetto antropologico non in una espressione geografica non ben identificata, in una nebulosa di idee, di concetti, di devastante florilegio di politica allo sfascio. Il tutto contro tutti rischia di farci soccombere, di far diventare pericoloso il margine di possibili derive.

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