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29 novembre 2014 6 29 /11 /novembre /2014 11:24

 Recensione a  Ninnj Di Stefano Busà,  Soltanto una vita, Kairòs Edizioni, Napoli, 2014

 a cura di Maurizio Soldini

   Soltanto una vita dà a pensare che nonostante nelle varie epoche ci siano dei canoni piuttosto ben individuati e individuabili in letteratura, che dettano le regole del gioco, c’è una qualche forza sotterranea, che di tanto in tanto fa riemergere come soffioni boraciferi generi ormai in disuso e non più apprezzati dalla critica contemporanea. È così che il romanzo di Ninnj Di Stefano Busà dà l’impressione di voler dare nuovamente voce al romanzo d’appendice. E con questo senza voler togliere nulla o disprezzare l’opera in oggetto o il genere medesimo. Con lo scopo, in questo caso, come nel caso dei gloriosi feuilleton delle epoche passate, di fare anche opera di divulgazione delle narrazioni e delle storie con l’intento di incrementare il numero dei lettori e di conseguenza di avvicinarli alla letteratura, e nello stesso tempo di dare alla letteratura una dimensione non soltanto narrativa intesa come descrittiva di eventi e caratteri, ma soprattutto una dimensione prescrittivo-moraleggiante.

   La storia narrata in Soltanto una vita racconta le vicende ambientate in America del Sud e precisamente in Argentina di una famiglia benestante alto-borghese nata dalle ceneri di un fidanzamento e di un matrimonio entrambi falliti, che la voce narrante sottopone a una diffusa analisi psicologica cogliendo con abilità sfumature che potrebbero far parte di tante situazioni rinvenibili nella realtà, tanto più se alla base dello scollamento delle coppie vi  sono momenti legati a problemi di psicopatologia come nel caso del romanzo.

   L’amore che sboccia tra Julie e George, i due protagonisti, non poteva nascere se non tra i rottami lasciati da un uragano, che sono l’alter ego della buriana, che aveva invaso l’anima di entrambi. Da un normale prendersi cura da parte di Julie di George, trovato gravemente ferito su una spiaggia, dove lei si era fermata “a leccarsi le ferite” della sua esistenza, gravata da un cattivo rapporto sentimentale, che per quanto finito non era ancora del tutto metabolizzato, c’è il passaggio a un amore che diventa subito travolgente e appassionato al punto che i due iniziano a essere coinvolti anima e corpo in una bella storia d’amore. Nonostante le mille difficoltà legate al fatto che George è ancora sposato con una moglie, problematica e nello stesso tempo psicopatica, che continua a dargli non pochi problemi, fosse pure per il fatto che i due hanno un figlio, Alex, che malauguratamente, nel momento in cui viene sancito il divorzio, viene affidato per assurdo alla madre con la conseguenza di provocare in George un grave turbamento. Dispiacere che pur incrinando l’umore di George non impedisce che Julie possa realizzare il sogno di poter sposare George per cercare di avere un figlio. Di lì le vicende si snodano nel bene e nel male e il rapporto sempre intenso tra i due procede tra un incidente di percorso e l’altro in un cammino per la coppia piuttosto roseo, anche in virtù del loro stato di benestanti, e tra un aborto spontaneo che dapprima tarpa le ali a una felicità che sembra non potersi compiere, e all’arrivo infine della figlia Emily, tra una malattia per George, colpito da un grave insulto cardiovascolare nel momento in cui sta per ritrovarsi con un figlio, che sembrava irrimediabilmente perduto per il padre in seguito all’affidamento alla madre, che li aveva allontanati definitivamente, e quindi ancora la malattia tumorale per Julie non fanno altro che riportare a quell’andazzo che è proprio di una vita soltanto, vita che sembra segnata da momenti di felicità, che preludono a momenti di infelicità e viceversa, come siamo abituati a vedere e a vedere riflettere nell’andamento meteorologico in quel movimento ondivago di tempeste, che preludono a cieli tersi e azzurri e che a loro volta precorrono l’onda d’urto di un uragano.

   Così sarà anche per la figlia dei due protagonisti, Emily, che nonostante i traguardi nella vita professionale e nonostante la vita più che agiata e un matrimonio con un facoltoso italiano naturalizzato argentino, Andrea Foscari,  dovrà fare i conti  con alcune traversie della vita che non guardano in faccia se uno è ricco o povero… Alla fine è soltanto una vita. La vita…

   Il romanzo di Ninnj Di Stefano Busà è circondato dall’inizio alla fine da un’aura paradisiaca naturalistica, sociale e linguistico-stilistica, dove tutto sembra collocarsi in una favola fuori luogo e fuori dal tempo (se solo pensiamo a quella che è la realtà, oggi in tutto il mondo, e tanto più in molti paesi del Sud America, dove spesso per la maggior parte delle persone vi è miseria, povertà, degrado, infelicità e comunque tutto il contrario di quello che si legge nel romanzo, che è invece solo per i pochissimi) in una u-topia nella quale, se non fosse per l’evenienza delle intemperie e del male fisico e/o psicologico che colpisce gli uomini a disturbare il clima edenico, vi è una prevalenza di fasti di feste di ricchezza di bellezza di politici di ambasciatori di persone comunque “importanti” e altolocate di primi e di primari in tutte e di tutte le dimensioni sociali, di efficienze e di eccellenze professionali e di inverosimile potere legato al censo, così come prevalgono scenari di sublime bellezza rubati “fotograficamente” al paesaggio oceanico dell’Argentina. Il tutto mediato da un linguaggio che spesso si fa iperbolico, superlativo, fin troppo aggettivato come è proprio del mondo aristocratico borghese che tende a circondarsi quasi esclusivamente con tutto ciò che è “griffato”. Insomma la favola bella di Ninnj Di Stefano Busà ci presenta quello che spesso vediamo nei film e nelle telenovela americani. Il bisogno di vedere la realtà è grande… ma forse gli uomini hanno bisogno di favole… E con questa consapevolezza l’Autrice offre al lettore questa opportunità di sogno. Anche perché per l’Autrice sembra essere prioritario far passare il messaggio che non è tanto importante poi quello che appare, ma, al di là delle apparenze, quel che conta sono l’interiorità e la forza d’animo e le virtù dell’uomo che fanno sì che alla fine i valori, come quello della famiglia, emergano e soprattutto che il bene possa prevalere sul male.

   Il romanzo, come ci si può aspettare, è a lieto fine. Ma lascio al lettore il piacere della scoperta dell’ulteriore svolgimento della trama.

   Come in ogni romanzo d’appendice che si rispetti, anche in questo caso la storia ha un intento pedagogico e moraleggiante e si conclude quindi con le riflessioni da parte della voce narrante dell’Autrice con questa morale:

 

Domani, domani è un altro giorno, come dice Rossella O'Hara nel film Via col vento, il sereno torna sempre, ancora e ancora, si spalancano le vie della provvidenza, che sono inesauribili.

La benedizione di Dio torna a farsi grazia, indulgenza, misericordia. Forse verrà messo a dura prova il corso della vita, da qualche altro ura­gano o tempesta, vi saranno altri ostacoli da abbattere, da superare, ma loro sono una famiglia, in loro si rispecchia l'umanità col suo carico di sofferenza, di lutti, ma anche di qualche gioia o consolazione.

Si può essere vincitori o vinti, si può bluffare con se stessi, o esse­re se stessi, dipende da come sei dentro, da come ti rapporti all'ester­no, ma sono fattori secondari, la forza più tenace che fa da collante all'universo è l'amore.

Veniamo al mondo per amarla questa vita, l'unica che abbiamo, non per opporci a essa o per oltraggiarla, e se talvolta ne veniamo feri­ti, ebbene, sì, tiriamo fuori tutto il coraggio, l'ardimento, la forza morale di cui siamo capaci per lottare strenuamente contro il male.

Non passi per troppo mieloso il concetto che Dio è la fonte, noi siamo la gola riarsa: il nostro limite è la sete inestinguibile, impetuo­sa e inarrestabile, abbiamo bisogno di lui per dissetarci.

Siamo in fondo soltanto una vita, nient'altro...

 

 

Maurizio Soldini                                                     Roma, 29 novembre 2014

 

  

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27 novembre 2014 4 27 /11 /novembre /2014 19:59

di Ninnj Di Stefano Busà

 

PREFAZIONE

 

A cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

 enzo Spurio in questa sua raccolta poetica usa un linguaggio moderno, asciutto, ma lo fa con leggerezza creativa, senza mai debordare dal solco che lo tiene legato ad una poesia d’immagini, di rarefazioni e di ricadute accidentali in quelle che sono le esperienze, le prese di coscienza di un verbo complessivamente volto alla soggettività di una tensione relativa, che risponde al bisogno della storia personale pienamente presente in questa silloge. Il libro palpita di realtà multiformi, intesse una ragnatela di storia che viviseziona con discrezione il linguaggio della poesia e confluisce con la visione del mondo in una varietà del sentire che ne percepisce il senso dell’immaginario e ne sottolinea la percezione del segno, si fa tutt’uno con le sue componenti figurative, ovvero: figure retoriche, simboli, metafore, allegorie in una terra d’esilio (la nostra), che occasione le molte esperienze di vita, riscopre situazioni che faticosamente si proiettano dal sogno ad una condivisibile speranza oltre “quel sogno”. La poetica di Lorenzo Spurio ricorre spesso ad una malinconia di fondo che riverbera un’assenza, solo all’apparenza placata o in grado di rendersi coesa e verosimilmente ne regge tutta la struttura del testo.

Quest’opera si presenta coniata da una forza evocativa che si esplicita in assonanze e dissonanze; i versi hanno una tensione lirica a volte frammentata, ma sempre fluida, mai sopita né opaca. La poesia scorre come segnale di vita che si ravviva dal suo stesso humus, si fa movimento ascensionale, a volte verticale, altre orizzontale, ma sempre alternandosi a sentimenti, suggestioni, pensieri, ispirazioni che si raccordano al tessuto semantico e alla matrice dell’essere.

La scrittura è polimorfica, avverte le incognite del mondo e si adegua alla necessità di ricompattarsi in una continuità logica delle cose che interagiscono e si compenetrano nell’emozione perennemente in bilico sul “nulla”. In tutta la raccolta si configura una sorta di alter ego che sperimenta e determina la full immersion in reticenze, incognite, compromessi tra il sé e l’altro di sé, configurandosi come alter ego di una matrice che tutto coinvolge e, tuttavia, emette segnali di cose vissute, di legami coi luoghi, con le immagini della fantasia o dell’immaginario che emettono pulsioni quotidiane. Il sogno echeggia talvolta oltre il simbolo che dà sommovimento di forte implicanza nostalgica, indicando figure interamente attraversate da una stratificazione figurativa, da ciò uno dei termini materici che più ricorrono: il cemento, autenticato da compattazioni cementizie, da rincalzi e direi anche puntelli in senso figurativo: l’equivalente di rinsaldare, consolidare e fortificare il genere umano.

Si avvertono tessiture che sanno individuare colori, sapori, emozioni che sono la ragione stessa dell’esistente e dell’assente; determinano un archetipo nel quale s’intuisce un paesaggio interiore in cui appaiono d’improvviso accelerazioni e contrazioni di uno sperimentalismo in fieri. Bellissimo questo explicit: “Ho odorato ancora il fiore/ accorgendomi che esalava tristezza/ e bisogno d’amore”.

La ricerca d’amore in questi versi è paragonabile ad un pensiero poetante che rispecchia la sublimazione del dolore, ma di cui si conserva il profumo o il fuoco smorzato della sofferenza. E tutto infine s’identifica con la vita: Lorenzo Spurio vi antepone una commossa capacità di ragionamento, l’acuta riflessione di una percezione del reale, che intende offrire alla mente l’immagine che la governa, ovvero, nuova vita, nuovi significati, espressioni di una rivelazione che sgorga dal cuore.

Poesia non è, infatti, solo la capacità di offrire riflessioni, ma ciò che si connette misteriosamente al significato delle parole usate e acquista nuovo splendore nel saper individuare la luce riflessa, ovvero, quel mistero che sa cogliere quello che c’è dietro il viaggio acceso negli occhi per sempre. E qui, che anche l’anima del lettore può cogliere l’infinita e arrendevole forza della poesia, soprattutto in quei vividi canti di sdegno, nelle cronache di denuncia di un mondo fatto di lassismo, sopraffazione e ingiustizia dove il poeta, come un novello vate della postmodernità, rompe la logica del bavaglio e proclama con onestà la cruda società d’oggi.

                                                                                                                   Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Milano, 23 aprile 2014

 

 

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27 novembre 2014 4 27 /11 /novembre /2014 19:49

 

SOLTANTO UNA VITA romanzo di Ninnj Di Stefano Busà

 

a cura di Rosanna Di Iorio

 

Ho incontrato Ninnj Di Stefano Busà attraverso le sue poesie e ho amato il canto puro dei suoi versi, la profondità del suo sentire la vita, la delicatezza ferma e serena dei suoi principi, il suo bisogno di donare bellezza dedicando la propria intelligenza e il proprio cuore alla poesia. È innanzitutto una poetessa tra le più accreditate fra i contemporanei, oltre che critico letterario e saggista, ed oggi si propone anche come narratrice con il romanzo “Soltanto una vita” la cui trama, che potrebbe appartenere ad ognuno di noi, viene descritta con intensa partecipazione etico-sentimentale e pur snodandosi in un contesto socialmente alto, comunemente disattento ai veri sentimenti, fin quasi all’indifferenza, quest’opera è intrisa di intenso lirismo e suggestione poetica nonché di un connubio perfetto tra filosofia e poesia. Esiste un modo di comunicare le proprie opere con molta delicatezza senza far rumore, un modo di entrare in punta di piedi nel mondo degli altri, che nasce e si sviluppa da una disposizione personale che si ripromette di coinvolgere le persone nel nostro mondo interiore, per favorire uno scambio emotivo altrimenti difficile da realizzare. È l’intento, la strada che ha imboccato l’Autrice col suo romanzo “Soltanto una vita”, dove nel raccontare una storia apparentemente nella normalità, cerca di fermare le emozioni, in uno stato di grazia, coinvolgendoci nelle esperienze esistenziali dei suoi personaggi, proiettandoci nel loro mondo, in un percorso ideale che potrebbe coincidere con quello di ciascuno di noi, in questa meravigliosa esperienza che è la vita. Tra i protagonisti della storia Julie Lopez  e George Martinez, dopo tante traversie, sboccia un amore idilliaco, costellato tuttavia da inevitabili dolori, come l’aborto, un male devastante che colpisce la donna, ma insieme riescono comunque a superare le difficoltà tenendosi ben stretti al loro immenso amore. Avranno infine figli e nipoti e finiranno il viaggio sempre nel nome dell’amore. Amore che, come scrive la Busà, bisogna costruire, credendoci sempre, alimentandolo, per poi donarlo. Viverlo: perché non abbiamo molte vite…ma una soltanto…! (da qui il titolo).

Ella richiede al lettore la condivisione di una esperienza emotiva vasta, allargata, completa, esigendo una comunione nel sentire, nel rivelare sentimenti e passione. Soltanto una vita, rappresenta una testimonianza dell’esistente, che l’autrice traduce in una visione che va al di là dell’orizzonte percettivo delle apparenze, richiedendo una partecipazione più attiva, in cui tutti i sensi siano coinvolti e con essi il mondo spirituale, quello dell’animo che riassume tutte le sensazioni e le proietta in una sfera onnicomprensiva o sinestetica. La ricerca della verità che l’Autrice persegue, osserva lo schema aristotelico, per sillogismi, esplicitandosi nella contrapposizione e poi nella sovrapposizione tra io e tu, tra autrice e lettore, tra amante e amato, tra uomo e Dio. La saggezza e la verità sono dentro di noi, alla portata di ognuno, nella nostra intima quotidianità. Basta cercare! L’Amore invece è gioire per lo la stessa gioia, piangere per lo stesso dolore, sognare lo stesso sogno! Amare è condividere la vita. Operazione difficilissima, ma non impossibile, perché si svolge procedendo con equilibrio su un filo teso sul vuoto, mentre si dà la mano ad un altro. Amare è anche e soprattutto la condivisione di una ricchezza infinita, inesauribile, di un tesoro che, se si acquisisce, si può sfruttare per sempre e resta custodito nel profondo, inattaccabile a qualsiasi agguato. Nelle prime pagine si susseguono suggestioni, impressioni colte con vivezza, con la vivezza proprio del sogno. I turbamenti insorgono perché le ore liete, la gioia, la felicità corrono insieme al tempo, perché siamo immersi nel panta rei, tutto scorre e anche noi siamo destinati a passare con i nostri affanni e le nostre gioie.  Si resta prigionieri della solitudine aspettando dietro il vetro della finestra l’arrivo del domani, mentre la vita scorre davanti agli occhi e non si può fermare. Se la coscienza della morte ci fa paura, la cognizione dell’abbandono e della separazione dagli affetti più cari non è meno temibile. Julie, si sente quasi inglobata in una vera e propria prigione kafkiana, un teatro del dolore a cui il lettore prende parte con la stessa dignità, con la stessa sensibilità della protagonista. Ma piano piano, nell’incontro con George, dopo le varie vicissitudini, si stabilisce un colloquio a due, in un comune anelito alla rinascita - com’è bello capirsi con gli occhi! Non osavano più sperarlo!”-  in un patto che si realizza per tornare a vivere, nel modo in cui ognuno garantisce la Rinascita dell’altro. Patto che esplode, incontenibile, musicalmente sonoro, caldo, esuberante, profumato, luminoso, in un inno alla vita. Che è un inno all’amore, un delicato incontro con l’altro, con colui che richiede un piccolo spazio nella sua vita ed ottiene un immenso giardino, oppure è la semplice descrizione della felicità, o una preghiera di ringraziamento al Creatore. Così le emozioni sgorgano, debordano, si affollano. Quanta armonia e quanto equilibrio vi sono in questo romanzo! Quante impressioni, soffuse di gioia infantile, primaria, quasi arcaica, delicatamente sognante. Julie e George si sposano e come in ogni storia vivono momenti di gioia e dolori, di paure e speranze, ma Julie riesce a coltivare con la pazienza di una tessitrice, con la grazia di una giardiniera, il senso della vita. Con le sue parole l’Autrice ci vuole insegnare che la vita bisogna viverla ed amarla così com’è, senza mai disperare tanto da rinnegarla. Cercando di compiere l’esistenza in amorosa leggerezza, in sognante adesione alle sollecitazioni più profonde dei sentimenti. Perché “Credere nella vita/vuol dire accettarne anche il peso del suo dolore”. Una grande verità che ci rende maturi, ci fa crescere spiritualmente e ci arricchisce di un patrimonio armonico di sensi che non viene compromesso dalla forza bruta degli eventi.

 

 

 

 

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19 novembre 2014 3 19 /11 /novembre /2014 13:38

 

 

Ninnj Di Stefano Busà fuori da tutti i canoni linguistici riesce sempre a sorprendere

 

a cura di Salvatore Veltre

 

Una poetessa di classe Superiore, lo vado affermando da sempre, non rientra negli stereotipi della tanta sbandierata poesia di oggi. La sua poetica sa essere affascinante e nuova, protesa verso le alte vette della vita e del pensiero.

In questa raccolta Eros e la nudità edita da Tracce 2013, prefata da Walter Mauro in modo ineccepibile, ma anche da Plinio Perilli, da Arturo Schwarz, nomi grandi della cultura dei nostri giorni, non fa che avvalorare la convinzione che le linee ritmiche e sognanti caratterizzano le brillanti e fascinose atmosfere dell’Eros, ispirando una sensualità scevra da ogni volgare espressione erotica o sessuale respirando una purezza d’immagini e un abbandono di suggestioni sublime e superbo, conchiuso felicemente in un repertorio di libere e catartiche visioni.

Al gioco del gatto con il topo” (come lei recita), la ragione vi si stende in un fluido calamitante che dolcemente commuove e sommuove alla compenetrazione amorosa, all’abbaglio del desiderio.

Di questa grande della poesia contemporanea, mi ha sempre colpito il senso del mistero e dell’incanto in un vorticoso giro dell’essere, nel turbinio di rifondersi nelle cose del mondo.

Poesia raffinata che va oltre la pura realtà effimera per sprigionare scintille accecanti di luce, così come di tenebre abissali:

un brivido di stelle, un baratro di cellule viventi:/ l’amore che più folgora....”

oppure: “l’amore trova sempre l’orlo dell’abisso/ in cui morire per poi resuscitare” La poetessa mostra i luoghi dell’eterno abbandono, dove tutto perisce dopo l’attimo carezzevole e sfuggente:

“Era la giovinezza”  oppure”una pur breve eternità cogliemmo/ dalla vertigine d’amore.”

l’Eros, allora, così come il sogno, il tramonto, la brezza oltre l’oblìo sono tutti segni della sua potenza espressiva. Una scrittrice che non finisce mai d’incantare, di stupire, dandoci il calore, la gioia di un incontro in un momento della nostra esistenza, anche con un tocco di amarezza.

M’intriga il tuo amore./ Lo respiro da stami e fogliame/ come raspi stornanti: A sciami vi si scioglie un respiro di cose perdute.”

Ancora un libro da leggere e viverlo come dono d’amore e piacevole ricordo.

 

 

 

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17 novembre 2014 1 17 /11 /novembre /2014 10:25

 

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

Abner Rossi vive a Firenze dopo aver trascorso diversi anni in Liguria. E’ un autore teatrale, poeta, regista ed insegnante in diverse scuole di formazione teatrale. Come autore ha scritto più di trenta opere originali. Inoltre scrive poesie (com'è solito dire, per evitare di ammettere che è un poeta vero). Pochi giorni fa è uscito il suo libro di Poesie dal titolo “Ascolta il vento”. In teatro ha collaborato con G. Albertazzi, Omero Antonutti, Anna Maria Castelli etc. Ha scritto i testi del Recital del Premio Oscar Luis Bacalov “La Meravigliosa avventura del Tango”. Particolare successo ha recentemente ricevuto il suo lavoro originale di Teatro-Canzone dal titolo “Se io ho perso…chi ha vinto?” dedicato a Giorgio Gaber ed interpretato dalla cantattrice Anna Maria Castelli. Per la sua pregressa attività politica è anche un importante commentatore delle vicende politiche nazionali ed internazionali, soprattutto di politica economica.

 

Nel tuo nome, Maria,


ho trascorso gli inverni,


l’assottigliarsi dell’anima,


le dispersioni di luce.

 

Nei tuoi occhi


ho cercato gli azzurri


e i crepuscoli precoci,


le altezze di cieli stranieri,


conoscenze troppo intense

per un unico individuo.

 

Mi sono infine arreso alle nuvole,


ai mutevoli venti, alle stagioni,


a tutto ciò che conclude un ciclo


e finisce per poter generare.

 

Nel tuo nome, Maria,


ho scoperto le mie preghiere,


sulla tua bocca, il fuoco,


nel suono delle tue parole


la mia musica preferita.

 

Nelle tue grida notturne

la pace.

 

Abner Rossi

 11 nove 2014

 ********     

 

 

7 novembre - anniversario della nascita di mio padre.

Per mio padre in sogno

Adesso sei soltanto somiglianze,
gesti che ho copiato chissà quando,
stessi modi di sorridere e pensare,
un modo di guardare un po’ distratto,
atteggiamenti spontanei, nostri,
incontrollati.

Piangevo stanotte lacrime dovute,
mai versate per te, nemmeno in sogno.
Lacrime da tanto tempo attese
e che credevo perse.

Appuntamento preso non so quando.

Attesa.

Singhiozzavo nel sonno
come da sveglio non mi è mai riuscito,
ero stupito di esserne capace.

Singhiozzavo come quando
promettevi qualcosa che dimenticavi.

Ormai son sette anni che sei morto
e le lacrime sono uscite all’improvviso,
con il mio stile, sempre un po’ in ritardo.

Certo, ci siamo visti sempre poco,
ma lo sapevo che mi amavi tanto.

Si chiama amore anche tra noi due?
Il problema non è che sei partito:
io ero lì, l’ho visto che la vita trascorsa
ti bastava, l’ho visto bene che volevi andare.

Il problema è quel taglio netto,
il fatto che decidi, parti e io resto.
Il problema è l’improvvisa fuga
e il non luogo dove sei andato.

Il problema è che ti ho visto andare,
prendere una strada nel silenzio,
una strada che non torna indietro,
all’infinito, senza incroci e curve.

Ma forse è proprio questo strano sogno
il primo incrocio, il nostro primo incontro,
il primo appuntamento che ti ho dato.

Non ti trattengo, non ti voglio fermare,
non è da noi, riflettere, fermarsi,
indietreggiare.

Come tu sai, non ammettiamo intralci,
è stata la prima tua regola che ho assunto.

Ed ho scoperto che sei vivo ancora,
se è vero che anche i sogni sono vita,
quella più vera, quella più profonda.

 

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16 novembre 2014 7 16 /11 /novembre /2014 18:06

 

a cura di Anna Montella  PREGASI DI CLICCARE SULLA ROSA E NON SUL LINK, MISTERI DEL WEB...

 

Dalla Raccolta "Dalle sponde fuggevoli e dai ventosi poggi" 
di Ninnj Di Stefano Busà una serie di liriche in video
http://lalunaeildragoautori.weebly.com/ninnj-di-stefano-bus…

DALLE VERGINI STAGIONI
LALUNAEILDRAGOAUTORI.WEEBLY.COM
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11 novembre 2014 2 11 /11 /novembre /2014 16:26

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Paolo Pistoletti è nato nel 1964 e vive ad Umbertide (PG). Terminati gli studi in Giurisprudenza e in teologia, ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’occidente e d’oriente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Ha pubblicato la silloge Legni (Ladolfi Editore, 2014) e il contributo Legni, una lettura devadatta, all’interno del volume Dove sta andando il mio italiano? (Fara Editore, 2014). Collabora con il blog letterario Compitu re vivi. Dal 2010 cura e conduce Arcipelago, il programma radiofonico di letture e poesia di RadioRCC. Sta lavorando, con il musicista-bassista Manuele Cambiotti, al progetto Devadatta, vedo la parola che suona.

 

 

ULTIMA VISITA

C’è una poltrona di pelle
che regge appena.
Sarei venuto a dire delle cose,
a trovare un appiglio.

Ma tra noi qui
c’è una stanza
che non ne vuole sapere.

Come niente l’aria
e la luce oramai.

Poi ci si aggrappa.
Come se all’improvviso
volessimo stare
come se finalmente
di colpo si fosse.

 

LEGNI                                                                 

Non mi ricordo più quante volte si muore,
quante stagioni di legni
ci pesano sulle mani
prima di rovesciarci il cuore.                                               
All’ospedale di Careggi c’è il bianco                                              
delle mura che in mezzo ci passa
chi non ce la fa più a stare qua.
Quelli che invece tornano
nelle vene hanno sentito
tutto il risucchio che viene dagli aghi
dal tubo della flebo
fino alla luce del neon
dove a un certo punto
uno non è più niente
tutto lì nel mentre,
tanto che a sorpresa
non avendo più materia
si smette di tremare
senza cassa senza risonanza                   
la mancanza ricompone tutto
porta a zero la distanza.

Da bambini si arriva ogni volta
al momento giusto
come una bolla al centro del lago,
la memoria poi torna dopo                                          
quando un giorno d’estate
il sole spacca le pietre       
e allora si esce.
In corsia si dice che un giro                         
moltiplicato per sempre sia l’eternità.   

 

Firenze, ospedale di Careggi, reparto di rianimazione, aprile 2001

 

 

AMICO

 

Caro amico mio quando uno come te

si ammala in giorni come questi

di una tacca tutto si abbassa

pure i nostri corpi. E solo adesso                                             

vedo tutto il bianco della mia barba

l’alba che mi cresce fitta pallida sulla faccia.

E allora rimane poco qui quasi niente

del respiro che va sotto va più giù,

mentre fuori si riaprono nicchie lucernari

si riapre la stanza che ora riconsegna reperti

ripone unghie nei cassetti

lettere e capelli nelle scatole

come pelle lasciata indietro nei giorni i guanti spaiati.

E le stagioni tra le persiane passano

tornano ai loro maglioni alle loro scarpe

e nella foto appesa al muro poi

tutto quel ricomporsi di cose.

 

 

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10 novembre 2014 1 10 /11 /novembre /2014 11:53

 

a cura di Maria Rizzi

"Soltanto una vita" , il romanzo di Ninnj di Stefano Busà, pubblicato dalle 
Edizioni Kairòs., mostra la capacità di una poetessa tra le più rappresentative del nostro secolo, di cimentarsi in narrativa con la stessa forza dirompente e con la capacità superba di distillare linfa dal lirismo per arricchire il suo testo di nerbo narrativo. Le prime pagine rappresentano già l'annuncio della vulcanica capacità espressiva dell'Autrice. Ci si trova, infatti, di fronte alla descrizione > paesaggistica delle conseguenze di un nubifragio nella Tierra del Fuego, all'estremità meridionale del continente americano, tra lo stretto di Magellano e Capo Hoorn.L'ambientazione sembra predittiva. E' una sorta di introduzione ai naufragi esistenziali dei protagonisti, Julie Lopez e George Martinez, e degli altri personaggi. La storia narrata si potrebbe definire con termine riduttivo 'la saga di una famiglia', anche se include elementi non caratteristici di questo genere di narrazione. Il libro nella sua interezza è un 'unicum', il mélange di più storie, di dolori laceranti, di esperienze distruttive, che mettono in risalto, quanto gli uomini, come gli elementi della natura sono esposti alle intemperie dell'esistenza. Ma l'aspetto che coinvolge, trascina e incanta è quello salvifico. La Busà non consente alle sventure di prendere il sopravvento sulla lenta resurrezione.
Non conosco di persona l'Autrice, ma ho letto l'Opera con la netta sensazione che Ella abbia proiettato, come è naturale che accada, la propria determinazione, la propria indole volitiva sulle vicende dei suoi personaggi. Ha descritto con rara maestria, con voce appassionata, dal respiro inarrestabile le lacerazioni subite da Julie e da George, ma è riuscita a penetrare nel cuore delle storie senza indietreggiare un momento, lasciando intravedere l'esigenza, il desiderio e la possibilità del riscatto.
L'aspetto epico del romanzo è innegabile. E non solo nelle descrizioni della natura, anche nello scavo interiore condotto sulle anime dei personaggi, sulla capacità di affrescarli con poche, magnifiche pennellate, rendendoli 'vivi' e vicini. E tale aspetto diviene innovativo, nelle disamine sui sentimenti. L'autrice sviscera gli stati d'animo e dà esempio di fisica vitalità verbale. Gli scenari che fanno da sfondo al succedersi degli eventi evocano una Artista 'cesareo' di ogni tendenza inflazionata. La Busà, infatti, sovverte molte regole. Gli entusiasmi celebrativi vengono sostituiti da profonde riflessioni sulla vanità della vita, sulla stanchezza, sulla malinconia, ma al tempo stesso il 'mal di vivere' sottende l'energia per reagire, per dare una scossa allo status quo.
Abbiamo "soltanto una vita" e... nel titolo è riposto il segreto di questo romanzo lavorato, intarsiato di similitudini, di allegorie, che dopo lungo exursus narrativo, si sofferma sui sogni. Sulla necessità di andare loro incontro. I sogni hanno bisogno di sapere che siamo coraggiosi... Nessuna demagogia nell'esigenza di ricorrere ai sogni, anzi... la volontà di contrastare un'epoca, un modus vivendi , che ci porta lontano da ogni illusione e che ci spinge a immaginare popolosi scenari per il nostri futuri.
La desublimazione della prima parte dell''Opera non va interpretata, quindi, come nichilismo. 
La Busà, nel suo stile sovrabbondante, ci dona varietà d'ispirazione, coinvolgimento passionale autentico, splendore opimo e purissimo. Un'Opera della quale non desidero rivelare gli sviluppi per lasciare ai lettori la gioia di leggerla e di assaporare in magico surplace come la sottoscritta, in uno stato simile al ritorno dalla avventura della vita. 

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5 novembre 2014 3 05 /11 /novembre /2014 07:46

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

Patrizia Stefanelli nasce il 10 aprile del 1960 a Formia (LT). Prima laurea in scienze infermieristiche, seconda laurea in DAMS ( regista teatrale ) all’università di Roma Tre. Con 110 cum laude con il Prof. Raimondo Guarino, storico del teatro.

Direttore Artistico del  Premio Nazionale Mimesis di poesia. E' scrittrice di testi teatrali tutti rappresentati in teatro, dei quali è interprete e regista: "Non scherzare con il morto? (migliore regia e sceneggiatura al festival FITA); "Tre tazze e una zuppiera"; "Qui si sana?"; "Cantando il tempo che fu" (tradizioni e canti popolari del Sud Pontino); "Il mistero di Don Giovanni" Premio FITA  2012.

E' presente in numerose antologie. ha vinto il premio al XIII Festival lirico Leoncavallo - Montalto Uffugo (CS) -  Premio di poesia “Amalia Vilotta”2012; . Premiazione e intervista della giornalista  Rosanna Cancellieri con Michele Mirabella -

M  Menzionedi Merito al concorso di poesia “Quelli che a Monteverde”- Roma 2012. Ha ottenuto per meriti culturali nel 2013 il premio Thesaurus ad Albarella-Rovigo. Finalista in molti premi letterari. Ha pubblicato nel 2013 la raccolta di poesie "Guardami" (ed. Rupe mutevole, pref. Nazario Pardini).

 

 

"Laudate Dominum"

Poni, Signore, sulla mia fronte un sigillo.
Non ho pensieri di fede.

Bagdad, favola delle mille e una notte
di cieli stellati e tappeti d'oro 
non hai più voli.

Sei, sangue di Cristo ucciso 
mille volte per le strade;
per migliaia di yazidi
solo due sopravvissuti; 
nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito...
Non ho pensieri di fede.

Così, anche tu, Israele,
uccidi il Figlio mille volte
nei mille volti
dell'unica verità raccontata,
quella degli occhi.

Tre giovani ebrei
per trenta giovani Palestinesi 
per mille e mille morti
bambini, nascosti al mondo
e...non ho pensieri di fede
perché un bambino
vale quanto un bambino
e una madre quanto una madre,
sempre uguale il suo dolore,
nel nome del Padre. 
Oh David! La tua stella sanguinaria è ignominia
e a sud di Damasco
la strage degli innocenti continua.

Poni, Signore, ti prego, sulla mia fronte un sigillo.
Non ho pensieri di fede. 

Tu, che sei pane, porta pane
dona, l'acqua del Battesimo 
a fiumi da bere
e, delle mille fosse, fa meraviglie!

Muoiono, ed io, Signore, 
non ho pensieri di fede. 

PatriziaS 5 ott

 

 

  per "amare" 


Ogni cosa di cui ho desiderio
accade
e accade
che io abbia desiderio sol di quella.

Pretesa è, un verbo dolce all'infinito
cullato dal sentire di un momento...

e accade
che si mettano petali a tappeto
e profumi, che restano sospesi
come le note, quando l'aria è calma.

Le sere a primavera, quasi toccano
le mani, e dove i glicini fioriscono
ci sono gocce misteriose e pure.

Accade

 

 

 Pag.72 Alla Luna

"Tu mi donavi un mondo e ti sforzavi

a farlo perleo agli occhi inteneriti" (cit. Nazario Pardini)

                            ***

 

 

Non so cosa davvero ci sia in certe

parole. In bocche fatue, conclamate

esclamazioni di potere fatte

per fingere, sorrisi accattivanti.

Allora…

Resto, qui, ma a contare quel che vedo

e quel che sogno senza strappi né

traguardi da rincorrere. Per mano

ho il mio attimo e non lo cambio, no

al bancomat a getto continuo

di insulse idee e strampalate glose.

Resto, con quel che resta del mio diario

al sole d’oltresera.

 

Verso così inquieta, dalla tua pagina

settantadue che chiude qui : Alla Luna

 

28 ottobre 2014

 

 

 

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4 novembre 2014 2 04 /11 /novembre /2014 09:39

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Rosa Elisa GIANGOIA, insegnante, scrittrice e saggista, ha pubblicato tre romanzi (In compagnia del pensiero, 1994; Fiori di seta, 1998; Il miraggio di Paganini, 2005), un prosimetron (Agiografie floreali, 2004), un saggio di gastronomia letteraria (A convito con Dante, 2006), un’edizione delle Bucoliche di Virgilio con annotazioni in latino (2008), le raccolte di poesie Sequenza di dolore (2010) e La vita restante (2014), il volumetto di riflessioni sulla poesia Appunti di poesia (2011) ed il testo teatrale Margaritae animae ascensio (2014). Per l’Assessorato alla Cultura della Regione Liguria ha realizzato con Laura Guglielmi la collana (10 voll.) Liguria terra di poesia (1996-2001) e per la Provincia di Genova, insieme a Margherita Faustini, i volumi antologici Sguardi su Genova (2005) e Notte di Natale (2005). Con Lucina Margherita Bovio ha curato l’antologia di poesie-preghiere Ti prego (2011). Ha pure curato le antologie di poesie su Genova Tenui bagliori di pitosforo (2012) e sulla Liguria Liguria schegge di poesia (2013) e Tra l’ulivo e la mimosa, il mare (2014); suoi racconti sono compresi nei volumi Il delirio e la speranza (2012), Tra parole e immagini (2013) e Amori dAmare (2014).

E’ vicepresidente del Lyceum club di Genova, fa parte del Direttivo del Centro Culturale Antonio Balletto. Ha fondato l’Associazione culturale “Il gatto certosino” di cui è presidente.

Fa parte della redazione della rivista “SATURA” e collabora a molte altre riviste. Ha vinto diversi premi letterari ed è membro di numerose giurie di concorsi.

 

 

 

 

 

A Mino

 

Certo sarebbe più bello saperti

dietro l’angolo della strada

seduto su una panchina,

ad aspettarmi.

Invece capiti nell’abbaglio

di un lampo di sole

che entra in casa inaspettato

all’improvviso,

forse per tenerti fuori dal tempo,

ad un passo dal niente.

 

Per questo sei stato:

perché io ti potessi ricordare

ora che appartieni alle profondità

delle memorie mute.

Quando ti penso

vorrei penetrare dove tu che non ti svegli

dormi in silenzio dentro quella notte

che io non conosco ancora.

Di tutto quel che è stato

non rimane neppure il rumore

di un fiume che scorre veloce.

 

 

 

Casa in vendita

 

Una vena rosata

sta nascosta dentro casa

nella malinconia della polvere,

ospite affettuosa in attesa.

I ricordi opachi di chi l’abitava

invitano ai risvegli

quando i candeggi facevano svanire

le sagome lasciate dalle notti

sulla tela delle lenzuola.

Ora bisogna decidersi

ad uscire dal passato

ed innestare l’albero di mele

ormai troppo legnoso nell’orto

per lontana trascuratezza.

Acquistare è segno di fiducia.

A conforto l’ammiccante

intermittenza delle lucciole

nel giardino troppo buio:

palpitanti di vita

accendono nel prato

la speranza della luce.

 

 

 

In Grecia

 

In Grecia ho bevuto la fresca acqua

che scorre in lago di memoria,

ho abitato l’azzurro immenso

del cielo e del mare

squarciati dal sole

nell’abisso dell’incanto

degli ulivi di Delfi,

dove la luce diffusa e tagliente

rivela il passato

e ridisegna la storia,

mentre il pensiero fugge

in miraggi d’infinito.

Ho incrociato sguardi

di divinità e di uomini

di pietra e di metallo

vivi nel tempo

della loro assenza;

ho visto l’enigma del sorriso

dei kouroi e delle kore

distendersi nella perfezione

fino a estenuarsi

nella malinconia composta

del congedo dagli affetti

nel concludersi di un arco di storia.

Ma alle Meteore ho incontrato

chi ha cercato

la purezza dello spirito

incarnandosi nell’aridità

della pietra dell’aria della luce:

fuori dal mondo

per convincere e salvare.

 

 

 

Navigando sul Volga

 

Sulla grande strada fluviale

incontri tutta la Russia,

vecchia e nuova.

Tra passato e futuro

lo scorrere delle acque

trascina la storia.

Il viaggio è lento,

ma inesorabile

tra i quattro punti cardinali

di ogni esistenza vagante:

il cielo l’acqua il sole il vento.

A poppa il tempo trascorso

disegna gorgoglii di schiuma

inghiottiti dall’oblio dell’acqua.

La prua

fende la verginità dell’ignoto.

Mentre il vento eccita

narrandoli sul volto

gl’invisibili approdi venturi,

la storia avanza

in cerca di futuro.

A terra

la vita quotidiana

è scritta sul viso

a quelli che incontri.

 

 

 

 

 

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