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8 aprile 2012 7 08 /04 /aprile /2012 11:30

di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

INGREDIENTI: 2 pompelmi tagliati a metà senza rovinarli, estraete il composto interno e formate 4 mezze coppe di  svuotate dal loro contenuto (usarli come contenitori), 2 cucchiai di mascarpone, 100 gr, di verdure miste tritate a piccolissimi pezzettini: cipolla, prezzemolo, peperone, carota, finocchio, ravanelli, cetriolo 8verdure a piacere), 200 gr, di ricotta, 4 cucchiai di yogurt, sale e pepe

 

Frullate la ricotta con lo yogurt, il mascarpone, il sale e il pepe. Lavate e tritate finemente le verdure, mescolate tutto insieme in una ciotola, cospargete con l'erba cipollina e il prezzemolo tagliuzzati finemente. Servite dentro le coppe di pompelmo svuotate che avete preparato.

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8 aprile 2012 7 08 /04 /aprile /2012 09:22

Ninnj Di Stefano Busà
Il sogno e la sua infinitezza
Tracce, pp.88 euro 12

 

a cura drllla giornalista Mary Attento

 


È stata publicata appena un mese fa la silloge Il sogno e la sua infinitezza di Ninnj Di Stefano Busà. Si tratta anzitutto di un inno alla poesia in sé: l'autrice apre e chiude questo scrigno di versi prima con la 'dedica' "La Poesia è nel destino./ Sinapsi ascensionale che sublima./ (Come a un cielo l'ala),/ dagli abissi del male, spicca il volo/ e il mondo viene avvolto/ di assoluto." e poi con il componimento "La poesia, foglia appena nata,/ involontaria fragilità e forza,/ ha parole tremanti, dirompenti,/ in grado di impregnare mente e anima, di mutare/ l'universo sensibile e le cose..." D'altronde anche Walter Mauro nella prefazione sostiene che la silloge "si presenta come una densa e sottesa rinascita di proposte, drammaticamente, e gioiosamente, umane nel contesto del riscatto liberatorio, che soltanto l'esercizio della parola, della lingua poetica, in questo caso molto suadente e al contempo diretta, senza sovrastrutture, riesce a realizzare".
La vita stessa "accompagna grani di poesia", che qui diventano ora punti di volta per svelare i segreti dell'esistere, ora frammenti d'umana realtà; e, sottilmente ma altrettanto rigorosamente, invitano ad aprire gli occhi, a mettere in risalto i veri contorni delle cose, a prendere coscienza dei limiti insopprimibili della nostra esistenza, ma anche ad avere consapevolezza della profondità della condizione umana.
Un senso di sospensione e insieme di concretezza sembra oscillare in questi versi, caratterizzati da un ritmo veloce e agile che dà loro una inaspettata, grandissima musicalità. Ne diamo un esempio: "Si compie poi la dolcezza che inonda,/ la vanità della parola che non cede/ alla mestizia rassicurante della carne,/ al rosso del sangue e al miele/ fino al colpo finale che toglie e non dà,/ al respiro vicino alla resa breve e convulso

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5 aprile 2012 4 05 /04 /aprile /2012 15:04

 

 

Nota critica di Arnoldo Mosca Mondadori

 

Leggendo i versi di Ninnj Di Stefano rimango continuamente stupito.  

La sua poesia è come parola che torna a dare vita al mondo.

Come se la poetessa avesse uno specchio profondo, dove il mondo si sia immerso nel tempo e nelle parole potesse di nuovo prorompere, appena nato.

La parola spesso diventa altissima, per dare la possibilità a ciò che ha perso senso di ritrovarsi.

Ed è forse solo per questa ragione che può nascere ancora la poesia: dall’anima dell’uomo, da luoghi profondi e inaccessibili, risale il significato della creazione.

Così la natura si rivela nelle sue minime manifestazioni e si  sente vibrare la sua grazia.

Forse nella parola di Ninnj Di Stefano vi è qualcosa di miracoloso, una specie di patto segreto con la natura e il suo respiro.

Alcuni versi sembrano volerci scolpire, come strumenti di rivelazione e di pace:

 

“Si spengono i violini dentro la carne”

 

“Ti aspetto in punta al cuore, come un richiamo di luce”

 

“Ti parlo a un passo dalla carne”

 

I brani di alcune poesie sembrano poi scaturire come gemiti dello spirito, come enunciati di grazia:

 

“Scorrerò l’enigma dei deserti

per riscoprire cattedrali bianche,

o la voce dell’infinito, nel dono

di un pensiero che si levi a Dio.”

 

 

 

“S’impiglia l’anima, come una cometa

che filtra il grido della luce e si fa

spora d’altri cieli,

o appena oblìo in calici di brina.”

 

 

La sua scrittura non cede mai a nulla di retorico. L’autrice sembra rispondere sempre a un’esigenza di volumi bilanciati.

Anche quando le immagini si ammassano riescono a snodarsi sempre, come fossero un groviglio di fiori che sanno poi naturalmente separarsi.

 In questo senso la scrittura sembra molto vicina agli stessi processi che danno vita alla natura e ai suoi misteriosi andamenti.

 

“Tu parlami di soffi appena in boccio,

di conche di basilico e di menta.

La parola che sciogliemmo al vento della sera,

ha steli di magnolia e filigrane, farfalle

che inazzurrano gli orli della terra.”

 

 

 

La solitudine della poetessa la aiuta a osservare i minimi mutamenti di un mondo di grazia e di dolore, ma non è mai una solitudine che si ripiega su se stessa, è piuttosto qualcosa che trema, che si innalza come una specie di preghiera.

 

 

“Abbruna ora l’infanzia che progettava

pagine di cielo e latte appena munto

all’albeggiare lieto delle labbra.

Resiste solo il frullo d’ali,

qui, dove il dolore è più mite.”

 

 

 

Le poesie di Ninnj Di Stefano potrebbero essere poesie scritte migliaia di anni fa, perché in esse sono nascoste le verità che ci appartengono. 

Proprio oggi, mentre siamo invasi e tempestati da messaggi web, e-mail e social-network di ogni tipo, avere tra le mani questo libro è un immenso dono.

Leggendo avverto il volo di un insetto, l’umore dei fiori e della terra, il senso del sole.

Ecco ancora il mondo, con la sua anima lenta, capace di attendere infinite stagioni ma anche con i suoi istanti improvvisi - di una velocità e immediatezza che nessuno può cogliere se non lo sguardo del poeta. Ma non è tecnologia, è altra velocità, è pensiero di creazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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4 aprile 2012 3 04 /04 /aprile /2012 12:32

SBARCO CLANDESTINO di Dante Maffìa. Ed. Tracce pp.150

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Un tema di grande attualità, una problematica che trova ostracismi e contraddizioni in termini, mentre si delinea  l’umiliante vetrina di un mondo spaurito, allarmato davanti a fenomeni di così profondi mutamenti etnici, apocalittici, vere trasmigrazioni di popoli, e di così imponenti investiture morali, sociali, politiche.

Un mondo, quello di oggi, sprovveduto e disorientato dinanzi a fattori ontologici che proprio per l’essere grandemente vaste, trova incerta e perplessa, nettamente contrariata e incapace l’opinione pubblica, i governi in un contesto di umanità reproba e inerte, inadatti ad opporvisi, a registrare il fenomeno e regolarlo nella giusta dimensione, disorientati e quindi spiazzati a padroneggiare il destino di molti..

E infine, larghe sacche di oppositori ad oltranza che volutamente ignorano o lasciano trasparire repulsione con atti di miseria morale e intolleranza razziali, tali da innescare un processo  di dissociazione intellettuale fatalistica e discriminatoria.

Volutamente inconciliabile si mostra  la desolazione alla domanda di aiuti umanitari che da questi fenomeni originano..

La poesia di Dante Maffìa va a toccare i nervi scoperti e dolorosi di un scoperchiamento di pensieri e di azioni, di travisamenti e soprattutto di fatalismo che ingenera una catastrofica forzatura delle regole, una condotta maldestra, un’opposizione omologante e inquietante per quelle genti (una moltitudine vagante), private del diritto d’asilo, svilite da sospensioni di libertà, dissociazioni d’identità, oppressioni e frustrazioni nei diritti umani e civili, defraudate e umiliate.

Lo spettro della miseria morale di coloro che dovrebbero sostenerli si fa in molti casi segno inquietante di una deprivazione di coscienza, che appare non salda, non matura e annaspa nell’ondivaga emergenza  di un piano tempestivo di aiuti, tentando di sottrarsi alla propria responsabilità di cristiani civilizzati, declinando quei paradigmi di accoglienza e di  indulgenza al <diverso>.

Diverso da chi? si dovrebbe poi obiettare? ma è l’umanità stessa che di fronte allo strazio primordiale, quanto universale della diaspora così massiccia, arretra nella sua posizione di deserto arido e informe.

Il massimo della solidarietà intellettuale va dunque rivolto a questo poeta integerrimo che dalla sua vocazione di immaginario collettivo, sa estrapolare commoventi e limpide suggestioni, emozioni che costituiscono deterrente per molte e più proficue riflessioni.

La diaspora è stata da sempre considerata un filone parallelo alla morte dei diritti umani, qualcosa che disorienta e coglie impreparato il fatalismo storico dell’intera umanità.

Siamo portatori sani di “nequizie”, il male si aggrava e diventa pandemia quando a respingere ai loro destini è l’ottusa ipocrisia, il collasso della solidarietà nel non voler accettare e considerare <la via crucis> di questi diseredati, umiliati e offesi in una visione cosmogonica, che si manifesta in toni edonistici, quasi dissacratori e sempre impotenti in prossinità di eventi e avvenimenti di portata biblica che disorientano l’altro, “il diverso”, l’esiliato dal pianeta, l’afflitto, il senzavolto, il diseredato, l’escluso: Non dovremo dimenticare che anch’essi sono fratelli in Cristo, ma l’universo mobile, cangiante, variegato di un disincanto e di una spregiudicatezza collettivi, li fa apparire transeunti della storia, virgole precarie di un dato storico irreversibile, “circostanze circostanziali” li definirei per antonomasia, (non uomini e donne) ma solo depositari di sventura.

È difficile, se non impossibile, trovare un poeta che rappresenti così bene il travaglio degli sventurati musulmani succubi di lotte tribali per l’ascesa al potere di governanti-boia, in balìa di dittatori-terroristi, sanguinari che esercitano i loro poteri totalitari e senza regole su popoli indifesi, siano essi etiopi, o siriani, arabi, o algerini, magrebini, marocchini etc, i perseguitati sono sempre loro, a subire le angherie dell’esilio, la mano devastante e inquietante della fame, della sete, ad addentrarsi in clandestinità, a rivendicare diritti negati, identità perdute in una necessità impellente portata a scegliere tra sopravvivenza outside, ai limiti dell’indecenza o morte.

Dante Maffìa è un veterano di tematiche che altri respingono, fa spesso sue le problematiche delle minoranze senza voce, degli esclusi dalla storia dell’esistenza, quasi ectoplasmi. A questi esseri umani egli presta la sua voce, ne ascolta il loro tormento.

Il suo cuore di poeta traboccante di pietà si muove a compassione per uomini come Mahmud, Omar, Alì, Mamadou, Brahim, Kaddour. Vi sono alcuni brani di questa raccolta che commuovono per l’intensità degli episodi descritti come Gada ad es: “ Sono un fiato di vento / e vaga nell’indifferenza, / vado verso terre sconosciute/ dove troverò una radura dolce/ in cui riposarmi?” (pag.32) e poi ancora: “adesso non puoi ascoltarmi, langui/ in tristi luoghi comuni dell’Occidente/ che credi tu sia solo rabbia e vuoto/. Io invece so che verrà l’aurora/ a ridarmi l’azzurro del deserto, / la sconfinata libertà di Dio / che ha la tua voce e il tuo passo.” (idem)

“Nomade, straniera, mendicante,/ che importa. Ormai sono un rifiuto/ che vaga senza meta/.../Non potevo restare /nella casa dove ogni cosa è sfiorita./ Sono ferita in ogni poro, la morte/ mi tiene lontano da sé per non essere infettata.”(Khadouj) pag 35.

Maffìa redige le storie di ognuno registra le loro pene, il tremore dei loro turbamenti, le paure, le angosce, che prolificano da uno sfilacciamento di mente e corpo che subisce traumi di dissociazione inimmaginabili, avverte gli urli dei loro cuori trafitti, delle trasmigrazioni respinte, e dove la ricerca di pace e di perdono si trovano distanti anni-luce da essi, piccoli mucchietti di stracci sporchi, maleodoranti, in balìa di correnti impetuose, in preda a deliri di deprivazione e di malessere, di malattie, denutrizioni.

Dante Maffìa coglie appieno l’allarme per questi derelitti, si fa tesimonial di un dolore rappreso tra la sorte e la morte, ne fa una questione di principi e di orfica desolazione: epigrafici appaiono questi versi: “Ci dicono che siamo sbarcati in Calabria Saudita! Il destino è perverso, beati i morti in mare!.” (Driss) pag.24

Vi è da un lato la miopia che confuta e procede a tentoni, non indulge e non dialoga: L’Europa  “ditta”... dall’altra la moratoria umana, l’esigenza di una remora morale di  universalità. Quella dei nostri giorni è una diaspora epocale, senza precedenti che antropologicamente ci costringe a prendere atto di un processo umano che s’interseca, ci obbliga ad  indulgere sull’”altrui”: brutto, nero e cattivo che ci mette davanti  allo specchio concavo di noi stessi, riflettendo quello che non vogliamo vedere. Ma il binocolo ha due lenti: si tratta di stabilire una corrispondenza di immagini adeguate, di coordinare regole di accoglienza, attingere al patrimonio genetico della razza umana, per estrapolare quel minimo di convergenza che d’improvviso diventi: dialogo, vita, estrema salvezza per tanti  diversi da noi “gli altri”: lo scopo è guardare in fondo alle cose, prefiggersi un imperativo categorico che dell’emergenza-necessità deve fare virtù, per costituire l’obiettivo fondamentale di un mondo migliore, una confutazione di orgoglio senza pregiudizi, una coesione che sia in linea con la <pietas> e restituisca credibilità e uguaglianza al pianeta così fortemente attraversato da sventure. C’è l’auspicio che si compia il miracolo che faccia dire come a Orhan: “Sarò trattato prima o poi/ come una persona  che possiede/ un nome e l’anima?” pag.59

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4 aprile 2012 3 04 /04 /aprile /2012 12:27

 

DENTRO E FUORI IL PAESAGGIO di Antonio Coppola, supplemento a: I fiori del male n.51 (copia omaggio)

  

(a cura di Ninnj Di Stefano Busà)

 

 

Un libro inaspettato, quanto gradito, quello di Antonio Coppola: Dentro e fuori il paesaggio, una plaquette smilza che assumma un concentrato di poesia altissima, una poesia come non ne leggevo da molto. L’autore sbalordisce il lettore esordendo in versi davvero straordinari: “Noi tradimmo i silenzi/ che divennero assalti dentro/ la notte che succhia/ il figliare dei suoi abitanti (pag27) o ancora “Quando rovinosi i passi/ cadranno dalla scena/ mi è straziante bussare/ dentro quel silenzio / su cui visse metà di me” (pag. 17)).

Il poeta riscopre se stesso, attraverso le miriadi di memorie quasi filmate, impresse nella mente: un hic et nunc, che come cantaride ricreata dalla bellezza da offrire al cielo, viene sollecitata dalla rapidità del sogno in transito, che la riformula e l’annota in tale nitidezza da sbalordire.

Non che prima Antonio Coppola non sia stato un grande poeta, ma con quest’ennesima prova lirica, crediamo di poter affermare che ha superato se stesso, ha fatto il giro di boa e si è portato ad un livello davvero superiore.

Antonio Coppola è parco nello scrivere poesia, ma quando lo fa, la compone ai più alti livelli. Come ad es: la sua creatura: I fiori del male, iniziata in sordina, quasi per scommessa, oggi è arrivata ad essere una delle riviste più qualificate del diorama letterario contemporaneo. Vi collaborano autorevoli scrittori e critici di spicco. Un vero successo, di cui andare fieri, soprattutto in questi tempi scarsi di cultura e di iniziative che tendano a proteggerla.

La tendenza e la predisposizione sono sempre le stesse, il poeta permane nella sua nicchia d’ascolto, appartato ma non isolato e, riservato, (come è nella sua natura) non ama la folla, il trambusto del palcoscenico, la ribalta mediatica, se ne sta in disparte a comporre liriche che hanno come sostrato una parola consapevole del suo lutto, del suo malessere: “Presto svanirò in questo mare / di triboli e curve di cielo/ in una Scilla che si fa bella/ addormentata sul sentiero fiorito”

I versi di questo prezioso libriccino fanno pensare all’eco di un Montale, nelle sue ultime composizioni, ad una riappropriabile trasfigurazione del reale, che increspa e assottiglia la lamina del tempo, senza per questo fermarne: suggestioni, sentimenti, emozioni, in un attraversamento di strazi e di straordinarie maturità intellettive che, proprio per la percezione di cui si fanno interpreti, riescono a misurare un potenziale alto di poesia che coglie e, profondamente trascorre, tra le fitte affannate e dolorose dell’esistente.

Tutta la poesia di Coppola è vivificata e resa godibile da una blandita profondità, quasi tragica e palpabile della memoria. Qui, se ne evince un concentrato che utilizza a 360° tutti gli strumenti dell’orchestrazione.

Passioni sedate, (forse) che restano perturbanti e fedeli a se stesse. come in questi versi: “Sentire il grido degli uragani spolpare/ l’anima, invece, oggi, il corpo trema/ fino al profondo epicardio.” (pag.42)

La bellezza e il fascino di questa poesia stanno nel saper individuare il punto esatto, da cui superare le barriere dell’immaginifico, per farsi pianto consolatore, meno afflitto e più autentico dell’anima.   

 

 

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22 marzo 2012 4 22 /03 /marzo /2012 18:08

LA POESIA NON E’ SOLTANTO ATTO CREATIVO IN SE’

 

di Ninnj Di Stefano Busà

  

Bisogna tener presente innanzitutto che Poesia non è soltanto atto creativo in sé che trascende l’oggetto stesso e i suoi contenuti. Essa si realizza entro i termini più trasfiguranti di tale atto e deve anche riflettere il mondo e la sua oggettivante natura, deve essere pulsazione di una incontestabile, innata creatività reale, sempre valida nel tempo come relativo oggettuale della sua storia e del suo compimento.

In altri termini, la Poesia ha davanti a sè due obiettivi: inventare e reinventarsi.

L’itinerario della comunicazione poetica è spesso tortuoso, labirintico e si insinua tra universi di cultura che in qualche misura confliggono tra loro e vengono coinvolti all’interno del fatto creativo come deterrente.

Si può immaginare di avere un cannocchiale a due lenti: chi guarda e chi è guardato finiscono per configurarsi entrambi e proiettare la loro visione al di là del contingente e ritrovare la stessa immagine reale valida ed ineluttabile per entrambi.

In altri termini, la Poesia deve essere non soltanto espressione, ma anche comunicazione, o come osserva Wladimir Holan nel suo poemetto: “Una notte con Amleto”, un dono.

La Poesia finisce con l’essere lo specchio della realtà nel tenpo.

Si finisce con l’essere moderni senza saperlo e senza volerlo, perché la poesia si adegua. Ogni artificio o arbitrio perpetrati sulla Poesia, soprattutto se tecnico programmatico, finisce per essere una forzatura, un’assurda pretesa di novità, perché ne compromette chiarezza e spontaneità: L’arte ponte tra individuo e individuo (M. Proust).

Allora, non basta esprimere: è necessario comunicare, come altresì è necessaria l’adeguazione espressiva del poeta agli schemi mentali (categorie) ai simboli che ne rappresentano i modelli e le sollecitazioni.

La poesia è forma nella quale si coagulano contenuti che scaturiscono dal rapporto tra noi e le cose.

L’atto creativo deve realizzarsi attraverso un processo che implica una fase di filtrazione catartica dell’elemento emotivo che la genera e, di trasfigurazione che non eluda l’esigenza della comunicazione ad altri.

Si configura così quella sintesi a priori che la istruisce e la determina, come del resto accade in altre discipline: nella scienza e nella filosofia.

La Poesia potrà così comunicare, non solo esprimere sensazioni e suggestioni, perché pur all’interno di un’esigenza di purezza, potrà creare un sistema di trasmissione di dati sentimentali e pratici, potrà cogliere i riferimenti oggettuali, i referenti dell’umanità, della società e della storia, al di là della snaturalezza o distorsione dell’atto creativo.

Il prodotto siffatto potrà dunque sostenersi da sé, in virtù della sua inventiva originaria, fondata su moduli irripetibili, che rifuggono da luoghi comuni, dai decorativismi, dagli sfoghi privatistici, dalle confessioni di scarsa incidenza logica.

La Poesia è sorretta dalla fiducia in taluni valori che ne determinano la rivelazione, che è traccia ed essenza oggettuali, non deformazione o mistificazione retoriche della non verità.

Una siffatta visione si regge, pertanto, sulla libera autodisciplina del poeta, capace d’intuire nella profondità del proprio sistema ontologico, le categorie universali e universalizzanti su cui si determina l’arte della parola, rigettando quelle mostruose corruzioni arbitrarie, quei soggettivismi alogici, pretestuosi, anarcoidi di un reale-irreale trasfigurativo, nel quale la fantasia si perde, accendendosi di figure astratte, a volte, mortificanti che si accendono di misteriose volute, senza chiusura di linguaggio, senza circolazione di comunicazione  in una tensione colloquiale fortemente inquinata da <non sense>  destinato quasi sempre a sfociare in un sogettivismo o liberismo estetico individualistico e sperimentalistico d’assalto, che rifiuta e rinnega canoni estetici della tradizione più illuminata.

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19 marzo 2012 1 19 /03 /marzo /2012 18:05

INTERVISTA a cura di Alessia Mocci di Oubliette magazine

 

D. Lei ritiene che il mondo di oggi dia spazio alla Poesia? o piuttosto la rileghi in un mondo caratterizzato da asfissia, da depauperamento, da preoccupazioni di ordine pratico più grandi e incombenti?

 

R. Il mondo che viviamo, proprio per questo suo essere defraudato di valori e significati interiori, ammettiamolo pure, ha un bisogno estremo, esasperato di Poesia,

poesia che viene dall’essere “spirito” più ancora che materia. La Poesia, pertanto, è l’unico momento in cui ci è permesso di estranearci da questo clima mefitico di morte, di profonde metamorfosi, rinunce, assenze che paradossalmente immobilizzano chi non si avvicini al –mantra- . La Poesia è un grande mantra che ispeziona e sostiene le vie interiori del ns. viaggio esistenziale. Non ci rende ricchi economicamente, ma scava nei cunicoli fondi della nostra coscienza di esseri umani e ci fa sentire meno <imperfetti>, ci fa avvertire meno dolorosi i morsi delle assenza, delle contraddizioni, delle miscredenze e banalità di un mondo fatto a immagine di miseria “indistinta”.

 

D. Chi secondo Lei è più adatto o versato alla Poesia il giovane o la persona matura.

 

R. Possono esserlo entrambi, è solo indispensabile che la Poesia “ditta dentro” e ne mostri lo strumento e la predisposizione letterari, vi sia poi disponibile un’intelligenza che ne avverta lo stimolo, il richiamo del dono, perché la poesia è un dono <aggiuntivo>, qualcosa che esula dal suo stesso farsi: una espressione di libero arbitrio in un mondo ormai sclerotizzato, a tal punto da essere cieco, dinanzi al messaggio del cuore. Per poterla ignorare si deve essere proprio incapaci di amare se stessi, a tal punto da non amare nessuna bellezza autentica ed eterna, quale quella che si sprigiona <in interiore>. La poesia è uno di quegli elementi di natura di cui è dotato ogni essere umano, solo che in molti non è manifesta, non sanno neppure di possedere quella virtù del cuore e dell’intelletto che sa trascrivere e collegare, decriptando immagini scollegate tra loro, e ricomporle come se giungessero dall’infinito, al quale tende e dal quale dopotutto è originato. La poesia tende a congiungere i due estremi: vita e morte in un connubio indissolubile che è la ragione ultima dell’esistente. Quel che avviene tra queste due tratte o segmenti della vita è percorso accidentato di un mistero che si realizza in noi, fotogramma dopo fotogramma. Perciò non c’è un’età che la destini e la riscatti, solo il nostro profondo respiro di chi la ama la sa creare in una dimensione adeguata, ricollegabile al  mistero che la sovrasta.

 

D. Ha senso ai nostri giorni la Poesia d’amore?

 

R. Sì, se chi la scrive e la legge avvertono entrambi di essere dello stesso microcosmo che rincorre il riscatto possibile dalla miseria. La Poesia è anche elevazione, affrancamento dalle temperie miserevoli di un mondo fatto a immagine di solitudine, di conflittualità. L’amore completa il ciclo dei due opposti, unisce il filo delle contraddizioni possibili, in un solo armonioso cerchio, placa le ferite. le escoriazioni di un vivere incoerente che si proietta a viva forza nel quotidiano e ci svilisce.

Ogni sentimento d’amore è degno di essere decriptato, perchè colma le distanze tra noi e il nulla, può essere la finestra schermata che ci ripara dal mondo, l’ultimo pensiero prima del sonno, il primo del mattino, una ràpida d’acque che tumultua dentro di noi e ci suggerisce che la passione è pronta a esplodere, ci esalta e ci commuove.

Quando si ama, sono tutte le nostre emozioni a rivelarsi e le suggestioni possono essere diversificate, ma unite in un solo nodo d’indissolubile connubio: l’essere e l’atra metà di cielo (“l’altro”) combaciano.

Il soggetto tende a congiungerlo perché mira ad una felicità possibile, ad una fusione con l’altro da sé che lo attrae e lo disorienta. Ogni amore è sempre un giorno nuovo, uno spiraglio nel buio, un “miracolo” che preferisce il tepore della nostra anima e si compiace di stringerla a sé, di coccolarla con quel fuoco spirituale che gli arde dentro. E’ una questione di biochimica, qualcosa che esula dal banale e forse un po’ ci nobilita..

 

D. Il suo linguaggio poetico è stato sempre di tono alto. Lei ritiene che la parola convenzionale non riesca a dare il segnale della vera bellezza?

 

R. Ogni poeta è un mondo a sè. Chi scrive Poesia deve saper leggere nel fondo dell’anima al meglio delle sue capacità. Non deve imporsi nessuna casualità né precostituirla, non deve avere convenzionalità di sorta, e tanto meno esprimersi con linguaggi non appropriati, non suoi, non in linea con la presenza del suo io personale, che deve imporre al concetto e al progetto lirico tutto se stesso. Chi scrive, scrive come può, senza prefiggersi altro che il suo tragitto di grazia, di ricerca dell’impercettibile, della verità che sfugge. Ogni episodio poetico è il frutto di tante concomitanze fruibili, che diventano misura del perfettibile nell’atto stesso della sua intuizione, della sua estensione, il resto è modus, flusso formale di pensiero che tenta la luce facendosi strada dagli abissi fondi e, verosimilmente se ne innamora, tanto, da ripetere l’operazione, da cui risulti un instancabile tentativo di reinvenzione, di rinnovamento della parola e del segno. Il poeta attraversa sempre l’aurora del giorno dopo, sa guardare l’universo delle stelle con occhi nuovi, sa intuire la giovinezza anche dalla notte. Il poeta è colui che si acquatta nel passato, per balzare nel futuro di dimensioni altre, di verità altre.

 

D. Questo nostro tempo dà ancora spazio al linguaggio poetico? oppure è distratto da altre forme di linguaggio più tecnologiche? L’informatica e internet hanno preso secondo Lei il sopravvento, hanno scalzato il fattore intimo della riflessione, della scrittura tradizionali.

 

R. Viviamo in un momento storico difficile che privilegia il <tempus fugit> e dà molto spazio all’apparire, più che all’essere. Nonostante ciò, la Poesia tiene, milioni di persone scrivono poesia, pubblicano e diffondono libri di poesia. In contrapposizione al sistema telematico e informatico è una contraddizione in termini, ma anche una legittimazione del pensiero “poetante” che non viene escluso dall’istanza intellettuale, ma se ne aggiudica semmai in piena libertà e coscienza la sua ragion d’essere. A me pare che la Poesia non declinerà, perché la poesia è il centro focale di un discorso interiore avulso da qualsiasi condizionamento del mondo esterno, è il ventre dell’universo, l’anima che nel suo porsi sa dosare le sue significazioni e misurare la temperatura dei sentimenti. Le due anime possono coesistere e non solo, possono interagire e dialogare, attraverso un processo interiore che riduce le distanze tra noi e <l’altrui>   

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19 marzo 2012 1 19 /03 /marzo /2012 09:41

di Ninnj Di Stefano Busà

 

(x 4 persone) INGREDIENTI: 400 gr, di tagliatelle fresche all'uovo, 500 gr. di filetti di cernia, 1 bicchierino di Chardonnay, 1 scalogno, 1 costina di sedano, 1 carota, 2 spicchi d'aglio, 2 ciuffetti di prezzemolo, 6 pomodorini ciliegini, olio extravergine di oliva, 2 cucchiai di gherigli di noci, sale e peperoncino.

 

Mentre attendete il bollore dell'acqua salata per lessare la pasta. Tritate molto sottilmente carota, sedano, aglio, scalogno e soffriggete in una larga padella antiaderente con 4 cucchiai d'olio, Tagliate i filetti di cernia a tocchi e uniteli al soffritto, fateli saltare alcuni minuti a fuoco vivo, poi sfumate con lo Chardinnay (fatelo evaporare), aggiungete i pomodorini privati dei semi e tagliati a metà, fateli cuocere insieme alla cernia per altri 5 minuti. Scolate le tagliatelle al dente, versatele nella padella, insaporitele bene. Qualche minuto prima di spegnere il fuoco, cospargete il trito finissimo di prezzemolo e le noci tritate grossolanamente. Facoltativo una bella spolverata di parmigiano grattugiato. Servite caldissimo.

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17 marzo 2012 6 17 /03 /marzo /2012 14:50

di Ninnj Di Stefano Busà

 

INGREDIENTI x 4 persone

 

 200 gr. di lenticchie (in scatola), 500 gr. di gamberoni sgusciati, 1 litro di brodo vegetale (anche dado), 150 gr. di pinoli, 2 patate, 1 costa di sedano, 1 carota, 1 cipolla, 2 ciuffi di prezzemolo, 1 pizzuco di curry, olio extravergine di oliva, 1 spruzzata di vino bianco, 5 fette di pane tostato a cubetti, sale e pepe.

 

Pelatele patate, tagliateli a pezzetti e fatele lessare in acqua salata per 10 minuti. In una casseruola antiaderente con l'olio, rosolate la cipolla, la carota e il sedano tagliati molto finemente, poi unite le lenticchie lavate e sgocciolate, i tocchetti di patate. Versate il brodo caldo e fate cuocere per 10 minuti. Estraete 1 mestolino di lenticchie e mettetele da parte insieme ad alcuni tocchetti interi di patate. Frullate nel mixer tutto il resto. Rimettete il composto nella casseruola, aggiungete i gamberi sgusciati (potete usare anche i congelati)., aggiungete il curry, aggiustate di sale e pepe, un goccio di vino bianco, (lasciate sfumare), Ora riversate il composto in un recipiente da portare in tavola, cospargete abbondantemente col un trito finissimo di prezzemolo e servite in tavola caldo accompagnando la zuppa con crostini di pane tostato tagliati a dadini.

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16 marzo 2012 5 16 /03 /marzo /2012 17:53

 

di Ninnj Di Stefano Busà

 

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Tagliate alcune teste d'aglio a metà per la larghezza, senza pelarle, fatele soffriggere per 10 minuti a fuoco basso in 100 gr. d'olio extravergine di oliva (buono). Versate in un contenitore di vetro,possibilmente una caraffetta col beccuccio e lasciatelo raffreddare. Unite altro olio (100 gr.) e tenetelo in serbo per ogni occasione. Con un pizzico di peperoncino, avrete a portata di mano anche un piatto di fettuccine all'aglio e olio a tempo di record.

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