La poesia: la seconda pelle di Ninnj Di Stefano Busà La poesia muove il vivere stesso di Ninnj Di Stefano Busà, fa parte del suo io più recondito e solare, vive in lei come un elemento inscindibile, naturale. Questo emerge, del resto, dal complesso della sua ormai note vole e prestigiosa biblioteca di momenti lirici, di ritorni all'ieri, di tuffi nel presente, di letture che si proiettano dentro e oltrè, il finito e l'infinito. E' stato evidenziato, a più riprese, come nelle sue opere (non soltanto di poesia) sia sempre presente un risoluto recupero memoriale, e questo come fonte di emozioni che si rinnovano e che diventano, o ridiventano, illuminanti scoperte. Per rendersi conto di un tanto, è sufficiente entrare nei perché che fuoriescono dalla silloge Adiacenze e lontananze, che, pubblicata nel giugno 2002, contiene un prezioso e simultaneo altalenarsi di situazioni, di atmosfere, di negazioni e di attese, di visualizzazioni, di assoli, di scavi psicologici e di spazi ampi che, forti di un'armonia creativa ormai consolidata, determinano l'essere e il divenire in un gioco quasi misterioso di suggestioni e di richiami. Da ciò si ha modo di capire il perché Ninnj Di Stefano Busà (che ha visto tradotta la sua opera letteraria in diverse lingue e che già nel 1990 è stata insignita di un diploma di benemerenza per meriti letterari da parte della Società Argentina degli Scrittori) venga considerata una voce di primo piano nel contesto del diorama culturale dei nostri giorni. A lei, inoltre, sono stati dedicati saggi e studi monografici da parte di critici di indiscutibile serietà e autorevolezza, come Carlo Bo, Antonio Piromalli, Giuliano Manacorda, Aldo Capasso, Geno Pampaloni, Mario Sansone, Elio Filippo Accrocca... "Dai capricci e dal sogno dei poeti – ha scritto Antonio Coppola nella monografia dedicata di recente a Ninnj Di Stefano Busà – noi possiamo aspettarci di tutto, ma mai che questo sogno rimanga solo in funzione teoretica o leziosa: sovrastruttura a sovranità territoriale". E proprio per entrare nel "cuore" del suo essere donna e poetessa non ho rinunciato all'idea di rivolgerle alcune domande, di obbligarla, come si suol dire, a mostrarsi con il volto suadente che fa parte della sua solida, e sempre efferve scente carta d'identità. Cosa significa per lei scrivere, e in modo particolare scrivere poesia? Spero non me ne voglia chi non è d'accordo con me, e non appaia retorico che allo scrivere io voglia dare lo stesso significato che respirare. Del resto, quando una cosa ci è congeniale non facciamo nessuna fatica a realizzarla. Per me, ma, suppongo anche per tutti quelli che nella scrittura credono come ad un atto incontro vertibile della loro identità, scrivere può significare amare, donarsi in quell'atto di solidale accezione quale è quello della poesia, identificandola come la più dolce delle passioni umane, perché è estremamente verosimile che chi tenta la scrittura poetica voglia identificarsi al sogno, alla vita come Ente di appartenenza, come episodio imprescindibile di una facoltà che ci pone al livello più alto del pensiero e, dunque, della storia, se per storia è intesa quella pagina culturale viva e indiscutibile che ci coniuga all'essere e al divenire, in progress, esulando assolutamente da noi e che però da noi prende l'avvio per divenire meno episodico il cammino dell'uomo, meno relativista e precario il destino dellinguaggio e della propria coscienza di umani. Identificarsi con la storia, capire il significato ultimo della vicenda umana, l'imponderabile mistero che l'avvolge, diventa allora una personale sintesi, un percorso che vuole realizzare se stesso dentro il fatto testamentario del proprio bisogno, non solo fisico, ma soprattutto spirituale. Questa, in breve, la mia opinione per chi, come me, crede e ha fede nel principio della vita e della facoltà del proprio pensiero illuminante. Il suo dire, come ha felicemente scritto Fulvio Tomizza, sfocia. sempre "in visioni di spazi dilatati, amplificati fino allo stremo". C'è un modello che lei va seguendo o al quale si ispira per raggiungere un tale risultato? Il caro Fulvio Tomizza che ebbe a cuore la mia poesia, mi diceva sempre che la mia scrittura poetica possiede gli spazi dilatati del tempo e della storia, perché non segue le mode, ma gli impulsi autentici della propria condizione ispirativa. Vi è, a suo dire, nei miei versi la condizione primaria della realtà e dell'esistente dentro un ampio respiro immaginifico che permea la materia vitalistica dei miei versi. Quanto egli ebbe a precisare per quanto attiene alla mia poetica è vero, suffragato poi da altri innumerevoli e autorevoli critici che ne hanno espresso giudizi similari. Quello che influenza la mia poetica non è mai un episodico atto di scrittura a sé stante, un fatto isolato dal contesto, ma una presa di coscienza, la consapevolezza che noi vivia mo al cospetto dell'Eterno, al quale dobbiamo gli atti più precipui della nostra identità che determina e attua i referenti. Perché ha scritto che "il mio peccato è quello di voler trovare il sole | dopo fitta pioggia o l'uragano"? Cosa sottintende tale immagine? Trovo che il mondo è privilegiato, malgrado tutto, e per luce in tendo la Felicità di un'apertura nell'aldilà, che non abbia trucchi o furberie, astuzie né malizie a deturpare l'ardore spirituale. Seppure talvolta siamo oscurati dagli uragani e travolti dalle nefandezze del quotidiano, vi è un punto che esalta la nostra crescita, ci fa probabili fruitori di un mondo migliore. Tutte le ipotesi si ricollegano al vertice di una ragione possente e onnipresente quale la Fede. Per tutti può sorgere un altro giorno. La mia è un'apertura alla speranza, vuole essere un'esortazione allo stupore nuovo di un'alba prima, cioé alla luce primordiale di un fantastico itinerario nella consapevolezza dell'esistente e di quanto tale luce interiore sia l'inesuaribile fiamma che ci illumina. Se si vuole percorrere fino in fondo il sentiero lungo e tortuoso di un destino difficile come quello umano, si deve intervenire sulle risorse dello spirito o di quella facoltà superiore di cui siamo dotati. Se parlo di "peccato", mi riferisco al modo piuttosto insano, troppe volte molesto e irriverente con il quale ci si rapporta al senso del divino. Ricercare la salvezza e ogni resurrezione possibile nell'immediatezza di un esistente martoriato e sconfitto è facile, ma non individuarla dentro il caos e non subordinare le nostre azioni al compimento del bene è quel "peccato" cui accenno, è quel corrotto modus vivendi che mi lascia perplessa. L'avventura umana si compie nei fondali melmosi, dentro un buio fitto e impenetrabile; lì il cammino si fa difficile, occorre la lanterna della sapienza e della saggezza per poter navi gare a vista, senza bussola né periscopio. Dove le acque sono in torbidite da nefandezze, il peccato resta infisso al peccatore, ovvero a chi non sa più risalire dal male verso quella Luce cui si accenna; ecco perchè "peccato", in senso biblico. Questa è la mia visione del processo di realizzazione dell'io nei confronti di un atto apparentemente irrazionale che è la scrittura. Se dal nulla cui siamo destinati riusciamo a carpire anche pochi attimi di luce da quell'avventura indicibile che è la vita, credo sia valsa la pena di viverla e di soffrire. Anche il dolore ha il suo atto catartico. Lei ha una cura del tutto particolare nella scelta della parola al fine di creare un linguaggio fluido, coinvolgente, ricco di immagini, di suoni, di voci. E' una sua scelta oppure ciò le nasce in maniera spontanea? La mia è stata sempre una poesia-ricerca, una poesia che ha saputo cogliere qualche consenso proprio in virtù di questo tentativo di scendere negli abissi più fondi per risalire mondati (idealmente, si fa per dire) alla luce di una purezza anch'essa rivisitata in chiave storica, ontologicamente storica, cioé libera dal peccato originale. Noi, per nostra stessa natura, non possiamo escluderci da esso, come non è possibile raggiungere la perfezione cui tendiamo. E' un fatto prevalentemente di origine: la nascita prevede e precede la morte, la vita innesca e partorisca il dolore, il lutto, l'assenza... tutti episodi su cui riflettere, scrivere, dissertare. La mia poesia risente molto di una condizio ne filosofico-storica che la racchiude. Non mi relaziono a nessuno in particolare, anche se Montale è il poeta a me più congeniale per quel suo memorabile "mal di vivere", che orienta e convive con la sua storia personale, che in definitiva. è quella stessa di tutti noi mortali. Ammetto che uno dei miei difetti è proprio la ricerca infinita della parola più vibratile, più incisiva e idonea a dare il massimo della potenza al verso, però non me la sono mai imposta, non la perseguo con accanimento, a tavolino, a freddo, perciocché la mia scrittura risulta impegnata nei due versanti: la versatilità e l'ispirazione. Predomina, qua si sempre, poi, un terzo elemento che va a intrufolarsi fra i due e ne determina il risultato; l'azione è volta a dare alla poesia la fluidità, da cui si determina la ricchezza formale, da cui scaturisce tutto il resto, che a suo dire istruisce e amplifica i significati, fino a dilatarli, come già osservava Tomizza. Voci, suoni e parole vanno poi a coincidere in un mosaico di rilevante coinvolgenza che io non preparo mai in anticipo, né tantomeno prevedo che accada. In ciò forse sta la mia spontaneità. Faccio poesia da quando avevo dodici anni, oggi le mie primavere sono tante ma mi approccio alla poesia con lo stesso stupore aurorale del primo giorno. E' questa la mia attitudine, non potrei fare diver samente: ne sono convinta. Fra i tanti ed importanti critici che si sono occupati della sua poesia, chi è riuscito maggiormente ad entrare nel cuore del suo essere donna e poeta? Fra i numerosissimi critici (nella maggior parte anche autorevolissimi) che sono stati miei lettori di poesia, non posso dire quale abbia penetrato più profondamente la mia anima. Ognuno di loro ha apportato nel mio palmarès il giudizio esegetico più avvertito. Ringrazio tutti, perché sempre la critica ha voluto privilegiarmi del criterio discernitivo più valido e preparato. Tutti mi hanno donato qualcosa, incoraggiata a tirare fuori il meglio di me. A ciascuno di essi vada il mio riconoscente pensiero. Lei si dedica, a sua volta, anche, alla critica letteraria scrivendo saggi, prefazioni, recensioni. E' più facile essere poeti oppure leggere criticamente quanto scrivono gli altri? Ho prefato innumerevoli libri (un centinaio, e forse più), mi sono interessata di recensioni,di saggistica, di critica letteraria con "pezzi" su Croce, Pavese, Michelstaedter, Pirandello, D'Annunzio, Raboni, Flaiano... per giungere anche ad autori esordienti, autentici nessuno che, se sanno scrivere poesia, per me contano moltissimo: ad essi rivolgo spesso la mia personale cura e attenzione, perché faccio questo lavoro con autentica preparazione, senza infingimenti o speculazioni di sorta. A tutti ho cercato di dare risposte e, ove possibile, incoraggiamento, senza svilire mai il prodotto poetico che deve restare lontano dal 'populismo da strapazzo', o dal 'pressapochismo'. A me scoprire un vero poeta dà una gioia immensa. Posso dire di aver scoperto numerosi poeti, di averli esortati a credere in se stessi. Per molti di loro ho intuito un futuro che si è puntualmente realizzato. In ogni caso per me il poeta è sacro e va rispettato nelle sue intenzioni senza stroncarlo sul nascere. Per quanto attiene al fatto di emettere giudizio su una buona poesia, mi riesce meglio che scrivere su poesia mediocre o scarsa. Credo sia che merito chiami merito, e la valorizzazione dell'oggetto poetico riesce a coinvolgere di più se la poesia è di alto livello. Ritengo sia dovuto al fatto che un poeta-critico possa penetrare meglio il territorio in cui si muove la poesia, e diffido un po' dai critici che non hanno mai scritto versi. Personalmente sono interessata ai diversi campi dell'attività letteraria. La mia è una ricerca di studio, un eser cizio interdisciplinare senza sosta. Mi occupo anche di Estetica. Ho pronto un lavoro di grande impegno sull"'Interpretazione antica e moderna del Bello", che abbraccia l'intera concezione teoretico-filosofica della Bellezza, dall'antichità fino ai nostri giorni. Credo fermamente nelle capacità di intendere il concetto degli al tri attraversando le innumeri ipotesi del mio percorso culturale. Non saprei escludere dalla mia vita la poesia. Così come la critica, la saggistica, tutte le discipline concorrono a dare completezza al quadro intellettuale della mia crescita, fanno parte del patrimonio linguistico e della mia preparazione. In altro modo non saprei come spiegarlo. In quanto Presidente del Centro Iniziative Letterarie e componente o organizzatrice di varie giurie di premi in tutta Italia, ha avuto modo di conoscere diversi poeti contemporanei. Tra gli emergenti c'è qualcuno che ha veramente le carte in regola per guarda re lontano? Devo ammettere che vengo a contatto con tanti poeti, leggo un variegato prodotto lirico e anzi, a tal proposito, vorrei dire la mia opinione sui meriti di tanti poeti emergenti. Vi è una tale affluenza nella poesia odierna da far intendere che la poesia non verrà mai soppiantata dall'informatica, come da più parti si ventila. Invece, a mio avviso, è la critica ad essere latitante; non si vuole fare a nessun costo un bilancio, una scelta dei nuovi nomi emergenti, che, per il processo storico cui accennavo all'inizio, devono di necessità andare a sostituire i tre nomi storicizzati : Montale, Ungaretti, Quasimodo. Sarebbe auspicabile il ricambio generazionale, ma questa pagina di letteratura deve essere ancora scritta, non se ne avvertono esigenze o tentativi d'attuazione a breve scadenza, non vi è nessuno che prenda in esame, in maniera congrua e corretta, l'imprescindibile e non più rinviabile riammodernamento epocale con uno studio dei fenomeni linguistici secondo la loro evoluzione temporale. Antologie e Storie delle Letterature non ne prendono in considerazione l'aspetto diacronico e dunque slittano sui fondamenti dell'equità del giudizio storico, senza valorizzare in nessun caso esordienti di spicco. Fuori dalle regole resta Luzi, che è l'unico a essere riconosciuto fra i poeti più rilevanti, non certo fra gli emergenti. Gli altri, tutti gli altri, restano "lettera morta" che un futuro estre mamente lontano valuterà. Che importanza ha un editore nella diffusione del prodotto-libro e nella valorizzazione di un autore? Si, tanta importanza soprattutto se trattasi di editore autorevole, i mostri sacri : Mondadori, Garzanti, Rizzoli certamente hanno importanza nella diffusione del prodotto-libro, specialmente riguardo alla poesia e alla narrativa. Ma quanti hanno facoltà di giungere a questi ? La verità è che si pubblica più poesia di quanta siamo disposti a leggerne. Il mercato è saturo; volendo fare una speculazione in termini pratici agli editori di spicco converrebbe fare una carellata di nomi apprezzabili, perché ve ne sono a centinaia (anche di buon livello), ma la realtà è che l'editoria non vende il libro poetico, o così crede, o vuole, per sua scelta restare elitaria, non vuole mettersi in gioco con pletore di poeti della domenica che pure sarebbero disposti a levarsi il pane di bocca per giungere alle redazioni di tali case editrici. Eppure, molti emergenti avrebbero le carte in regola per onorare la pagina letteraria che conta, per traguardare la Storia. Però finiscono per entrare nella tana del lupo, sobbarcandosi le spese di pubblicazione; così fioriscono e prolificano sottoboschi editoriali, a tiratura ristretta, che tentano di colmare la grande disattenzione dell'editoria di prestigio. Servono a qualcosa le antologie? Anche le antologie sono specchietti per allodole, non hanno nessuna rilevanza culturale, perché spesso dentro vi è di tutto e di più, senza la logica dell'apparato di selezione che decide il referente; ogni autore presente o assente torna a essere la nullità del fatto poetico, non vi può essere misura di contenuti, né rigore né equità nel fare di tutte le erbe un fascio. Da qui la frustrazione che ha del paradosso, a volte chi vale non rientra nell'elenco e chi non vale è portato all'apogeo da fattori contingenti, che nulla hanno a che vedere con la validità dei meriti effettivi. Se "la vita è oltre il suo epilogo", come lei vorrebbe essere ricordata? Sì, è vero, credo di intravedere "la vita oltre il suo epilogo", questa conduce ad un tal sentiero che non vede soluzione di conti nuità, interruzione, o defezioni. La vita è quello che è, inesauribile nella sua scontentezza, nella sua relatività e precarietà, ma se si riesce a individuare uno spiraglio dì luce oltre quel tunnel, l'estremo limite si dilata, va a congiungersi in un'ideale "escalation" a quelle misure, a quelle superiori entità che si relazionano all'eterno, e nel gioco delle parti nulla si esaurisce se non la fisicità/materica. Permanendo nell'orbita di un dettato spirituale che va ben oltre il nulla, i poeti tentano di entrare nella Storia, superando la parabolica curva della nascita per la morte. Intendo che vi siano una resurrezione e tante epifanie che presuppongono un cammino di speranza. Per quanto mi riguarda e attiene alla mia persona, non credo di rientrare nel novero dei poeti storicizzati, non sono autolesionista fino a illudermi di essere ricordata. E se mai lo facessero, vorrei essere ricordata come qualcuna che amava la poesia al di sopra di tutto, tanto da ritenerla la sua seconda pelle. |