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2 ottobre 2014 4 02 /10 /ottobre /2014 13:41

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Emilio Capaccio è nato a Salerno il 16 maggio del 1976. Si è laureato in Economia e Commercio all’Università degli Studi del Sannio nella città di Benevento. Vive a Milano, dove lavora nel campo della sanità.

Ha pubblicato per la casa editrice Pagine un e-book nella collana antologica “I Poeti Contemporanei vol. 16”(settembre 2012) e alcune poesie nell’antologia poetica “Voci d’Autore” (gennaio 2013) e nell’antologia “Attimi” (ottobre 2013).

Per Aletti Editore è stata pubblicata la poesia Verrò a spiarti nell’antologia “Sotto l’Albero delle Mele vol. 2”(marzo 2013) e la poesia Il giorno nell’antologia “Parole in Fuga vol. 9” (giugno 2013).

Per Montedit è stata pubblicata la poesia Ragione d’esistenze dissimili, finalista del premio “I poeti dell’Adda 2012”,nell’antologia omonima (luglio 2013).

La poesia Propositi è risultata finalista al concorso “Il Federiciano 2013” e inserita nell’antologia omonima, copertina verde, (novembre 2013).

A giugno 2014 è stata pubblicata (e liberamente scaricabile) nel sito www.larecherche.it l’antologia: Malinconico oscuro: traduzioni di 25 poeti sudamericani inediti, prefazione di Giorgio Mancinelli.

La poesia Morirò di Domenica è risultata finalista e premiata al concorso di poesia internazionale Viaggio di Versi III edizione, a cura della rivista letteraria Poeti e Poesie diretta da Elio Pecora (agosto 2014).

Collabora con Poetry in Translation di Chiara De Luca, fondatrice e direttrice della casa editrice Kolibris.

 

 

 

 I corpi

 

 

In questo momento esisto.

(Esisterò in altri momenti

ma senza averne coscienza).

Mi sembra di staccarmi dal corpo

con il quale mi coprivo

per pudore di restare nudo …

e di osservarlo oscillare,

sui piedi,

da un luogo lontano,

con sguardo affrancato e primitivo,

che non è degli occhi!

E osservo il riflesso degli altri

più opaco,

che vegliano i loro corpi

da altri luoghi solitari.

E capisco che siamo troppo lontani …

troppo lontani!

Non abita nessuno

in questi corpi paralizzati

nella forma che dovrà sciogliersi

a un’alzata di vento.


Il peso dell’essere

 

 

Vado proteso e filiforme

in qualche sogno

che ricordo la mattina.

Mi stacco da quell’io che contengo a fatica,

come un fiore contiene un uccello

che vuole cantare,

però maldestro sulla sua foglia!

E osservo il mio nido …

che è la Terra!

e le sue vie

e i suoi trascorsi

e le sue ombre sotto gli alberi,

dove incontro qualcuno,

più stanco,

venuto a bare un veloce silenzio.


Inventatevi un oroscopo …

 

 

Inventatevi un oroscopo,

qualità e tare ereditarie,

somiglianze con fratelli e sorelle.

Brevettate un modo di comunicare,

un sorriso indecifrabile.

Parlate dell’ambiente che vi ha ispirato,

del mare che vi ha affievoliti,

della montagna

che ha dato fibra e risolutezza.

E i venti diranno di avervi conosciuti

in luoghi che eternamente si contrastano,

dove le montagne

(lanterne antiche sull’acqua)

sono tutto quello che si acquisisce,

il mare, quello che si disperde!


La rilevazione

 

 

Tuonava nei cieli della marina.

Era notte e non vedevo!

A quei tempi si aspettava il Domani,

come chi aspetta

quelle ferree certezze

di cui manca appena la presenza.

E venne il Domani! …

con passettini frettolosi,

mascherato da Mattino.

E si fece Tardi!

Si fece Chiaro!

E vidi ai piedi di un alaterno

bocche di preghiere ancora spalancate

con tutti i fulmini addosso!


Le nuvole

 

 

Che cosa vogliono da me queste nuvole

così bianche e frastagliate …

frivole d’aria,

lampanti di luce?

In che lingua d’altitudine mi parlano

quando passano nei caldi planisferi dell’estate?

O, invidio le nuvole!

Il loro tempo che non segnano gli orologi! …

Vanno agli angoli dei cieli

dove finisce ogni età.

Assegnate a un ordine di precarietà universale,

non temono delibere di venti,

non temono dissolvenze …

fedeli all’effimero apparire

del loro comandamento.

Mi ricordano la fugacità di ogni danza che danzo,

di ogni volo che si compie,

e la condanna di chi resta fisso a guardarle

con le radici nella terra

(con le braccia corte sulla terra)

seppur passa! …

senza andare passa! …

Vittima dello stesso comandamento!


L’amore

 

 

Non ci sono similitudini.

Quello che scrivo per te è umano,

quello che sento è divino!

Vivo l’amore nel mistero,

nella più scura profondità di ogni anima della terra.

Qui, nel recondito,

in clandestinità,

nei fiotti di sangue e desiderio

che inondano il mio cuore,

non ci sono voci,

né baci,

né parole.

Vengono da Dio

le correnti che mi portano il tuo nome!

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2 ottobre 2014 4 02 /10 /ottobre /2014 13:13

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

Dante Maffìa è nato a Roseto, sulle rive dello Jonio. Si è laureato a Roma. Saggista, poeta e narratore. Esplica la sua attività critica sulle maggiori riviste italiane. Come poeta fu segnalato, agli esordi, da Aldo Palazzeschi, che ha firmato la prefazione al suo primo volume, e da Leonardo Sciascia che, con Dario Bellezza, ritiene Maffìa “uno dei più felici poeti dell’Italia moderna”. Alcune sue opere sono tradotte in Francia, Russia, Svezia, Spagna, Argentina, Ungheria, Bulgaria, Germania, Stati Uniti, Belgio, Macedonia, Slovenia, Romania,  Grecia, Serbia, Brasile, Slovacchia, ecc. Con il romanzo Milano non esiste ha vinto il Premio “Corrado Alvaro” a cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri  ha assegnato anche il Premio “Giacomo Matteotti”.  Da segnalare, tra le altre opere,  Il Romanzo di Tommaso Campanella (pref. di Norberto Bobbio e Claudio Magris), Lo specchio della mente(Pref. di Nelo Risi), La Biblioteca d’Alessandria (Pref. di Mario Specchio e Giuliano Manacorda).  Il Presidente della Repubblica Ciampi, nel 2004, lo ha insignito di medaglia d’oro alla cultura. Nel 2013 è uscito Io, poema totale della dissolvenza , con Prefazione apocrifa di Dante Alighieri e nel febbraio del 2014 Il poeta e la farfalla, poesie d’amore, da molti lettori illustri immediatamente definite le più belle di tutti i tempi.

 

Il Consiglio Regionale della  Calabria, all’unanimità, la Fondazione Palazzo Spinelli di Firenze, la Fondazione Guarasci e la Fondazione Farina di Cosenza, la Fondazione Di Liegro di Roma lo hanno candidato- ufficialmente-  al Premio Nobel. La Giuria del Premio Frascati gli ha assegnato il Premio alla Carriera.

 

 

 

 

 

 

AVVISO CON UN OCCHIO ALL’ORIENTE

 

                                                   a Barack Obama

 

Nei cappuccini tiepidi ho visto fallire eserciti

avviati alle battaglie più cruenti.

Una volta perfino migliaia e migliaia di carri armati

e di aerei da combattimento

che emettevano suoni aspri e codificavano parole minacciose.

La risposta si udiva appena: la vittoria è salda nelle nostre mani,

un album è già pronto nelle edicole per la raccolta delle figurine.

 

Tutti complici e beatamente seduti a tavola a gustare

la torta al cioccolato. L’America in preda a un orgasmo

dentro camion scassati e carichi di omosessuali simpatici

e pronti alle recriminazioni. Quelle giuste,

specificava un Generale con decorazioni sul petto e sulla fronte.

E bastava l’odore d’una rosa, lo spiraglio d’una stella

per dare scacco matto anche ai facinorosi.

 

Le statistiche dicono che non si va mai da nessuna parte

quando il sangue scorre e non diventa sanguinaccio.

La pietà dentro il culo, e quelle grida bastarde e noiose.

 

L’animale che divorava l’anima non avendo altro da masticare.

 

 

 

CHISSA’ SE DAVVERO A TOLSTOI

 

                                                       a Marco Onofrio

 

Sul davanzale della finestra si stravaccano le tortore.

La signora del piano di sopra spiumaccia i cuscini.

Le nuvole trasportano treni bianchi e notti d’amore.

Una banda suona senza interruzione la Nona di Behetoven.

Ma che sconcezza, son tutti mandolini!

“Chiudi le imposte” tu dici quasi irritata,

“chiudi che mi farai altrimenti raffreddare”.

Così torno alla scrivania a tamburellare sul computer

in cerca di paradisi o di consolazioni

o forse soltanto di spazi concreti per coprire altri spazi.

“Chissà se davvero a Tolstoi piaceva La sonata a Kreutzer

oppure ha soltanto sentito un’affinità con l’omicidio”.

“Non hai niente di meglio da fare

che rimuginare su storie inventate. Lascia stare la letteratura,

di questi tempi ormai è uno stupido esercizio

senza prospettive. Occupati d’altro, scendi nel giardino

a potare le rose, va’ poi a comprare il latte,

porta al ciabattino le scarpe da risuolare”.

Io non ho risposte da dare, eseguo i consigli, uccido

le rondini che stanno nelle tasche e squittiscono.

Inseguo un calabrone, mi fermo a guardare

la macchina che sfreccia strombazzando

perché la Lazio ha vinto sulla Roma.

Una voce robusta chiama Amelia.

Mi piacerebbe essere io a chiamarla, chissà com’è fatta,

magari con lunghi capelli neri che le scendono sugli omeri,

con due gambe dritte da ballerina, lisce, calde,

sensuali, aperte a tutti i venti, pronte

a salire su un cavallo della giostra del luna park.

“Amelia, sei pronta? Il tassì ci aspetta, dai, sbrigati.

L’aereo parte fra due ore, non possiamo ritardare”.

 

 

 

A GIUSEPPE TREBISACCE

 

La Cannosa, gli orti verso il mare,

le “vicce” capricciose,

i libri ancora oggetti misteriosi,

i treni in corsa,

il mare con la voce minacciosa,

l’orizzonte a portata di mano.

 

Tutto ritorna a tessere la trama,

quando siamo a Roseto,

del nostro inquieto ardere

d’inconsapevolezza.

 

Lo ripete il cuore dei fichi

che mi riporta le voci

delle nostre madri.

Parlano di noi preoccupate

neppure immaginando

un futuro di carta.

 

 

 

 

A ZONZO PER TRIESTE

 a Claudio Magris

 

 A zonzo per Trieste

con pesi e pesi che non riesco

a opacizzare.

 

Fradicio di nomi il cuore.

Vado per le strade

accompagnato da troppi fantasmi.

Tocco la profezia

nella poesia di Saba e di Marin.

 

Se almeno ci fosse il lamento d’un grillo,

o un vecchio arcobaleno

dimenticato davanti alla Stazione.

 

 

 

 

 

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30 settembre 2014 2 30 /09 /settembre /2014 16:45

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

Luigia Sorrentino è giornalista professionista e poeta. Nata a Napoli, laureata in Giurisprudenza. Attualmente lavora per il sito del canale Rainews24 e, dal gennaio del 2011, cura attivamente il blog Poesia, diLuigia Sorrentino, il primo blog di Poesia della Rai, da lei ideato e seguito. Il blog si è in breve tempo affermato come uno dei principali mezzi di divulgazione della Poesia, della Letteratura e delle Arti in generale, in Italia e all’estero. Il primo riconoscimento di tale attività divulgativa è arrivato nel luglio del 2011, quando è stato assegnato a Luigia Sorrentino il Premio “Prata” (Premio Donna, Cultura e Comunicazione). Tra le sue più recenti pubblicazioni: “C’è un padre” (Manni, 2003) “La cattedrale” (Il ragazzo innocuo, 2008), “L’asse del cuore”, (Almanacco dello Specchio Mondadori, 2008) e “La nascita, solo la nascita” (Manni, 2009). La sua ultima opera:Olimpia (2013).

     

La cattedrale

intorno a questo altrove 
fin dall’infanzia
occhi di grandi in ogni fondo
entrano in qualcosa di ignoto
verso il loro dentro denso
tutto sembrano sapere del vento
e della pioggia in primavera
esseri di asilo, affettuosi
esseri, e il dio che scende li lascia
entrare, accoglie nutrimento
il dio lieve


*

 

poi vedi la luce fendere il volto
e il volto scostarsi dalla luce
e vedi la luce cadere 
sul mosaico dorato

accade qualcosa d’umano
nella navata centrale rotola
dalla cupola il volto sostenuto
nel semicerchio

siate colonne
quando vi solleverete
l’uno verso l’altro
il volto vostro esca
dal marmo 
e torni qui dove ora siamo/ /

[….......]

(2007)

 

Da: La cattedrale, Il ragazzo Innocuo 

 

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30 settembre 2014 2 30 /09 /settembre /2014 16:28

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

Da “Tersa morte”, di Mario Benedetti, Mondadori, 2013

Il mio nome ha sbagliato a credere nella continuità
commossa, i suoi luoghi intimi antichi, la mia storia.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Gli ospedali non hanno corsie. Dal cimitero dei cani
vicino alla discarica di Limbiate escono i morti al guinzaglio.
Non si addensa nulla, si disperde al telefono il mio petto.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Sei solo stanco, ripete una voce qualunque.

______

Mario Benedetti (Udine, 9 novembre 1955). Si è laureato in “Lettere” con una tesi sull’opera complessiva di Carlo Michelstaedter all’Università di Padova, poi si è diplomato in “Estetica” presso la Scuola di Perfezionamento della stessa Facoltà universitaria. Nel 1994 si è trasferito a Milano. E’ stato tra gli animatori della rivista di poesia «Scarto minimo» (1986-1989). Le sue opere poetiche sono “Secoli della primavera” (Sesante, 1992), “Una terra che non sembra vera” (Campanotto, 1997), “Il parco di Triglav” (Stampa, 1999), “Borgo con locanda” (Circolo culturale di Meduno, 2000), “Umana gloria” (Mondadori, 2004), “Pitture nere su carta” (Mondadori, 2008), Nel 2010 ha pubblicato la raccolta di prose poetiche “Materiali di un’identità” (Transeuropa, 2010)."Tersa morte"(Mondadori, 2013).

 

 

 

 

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Da “Tersa morte”, di Mario Benedetti, Mondadori, 2013

Il mio nome ha sbagliato a credere nella continuità
commossa, i suoi luoghi intimi antichi, la mia storia.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Gli ospedali non hanno corsie. Dal cimitero dei cani
vicino alla discarica di Limbiate escono i morti al guinzaglio.
Non si addensa nulla, si disperde al telefono il mio petto.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Sei solo stanco, ripete una voce qualunque.

______

Mario Benedetti (Udine, 9 novembre 1955). Si è laureato in “Lettere” con una tesi sull’opera complessiva di Carlo Michelstaedter all’Università di Padova, poi si è diplomato in “Estetica” presso la Scuola di Perfezionamento della stessa Facoltà universitaria. Nel 1994 si è trasferito a Milano. E’ stato tra gli animatori della rivista di poesia «Scarto minimo» (1986-1989). Le sue opere poetiche sono “Secoli della primavera” (Sesante, 1992), “Una terra che non sembra vera” (Campanotto, 1997), “Il parco di Triglav” (Stampa, 1999), “Borgo con locanda” (Circolo culturale di Meduno, 2000), “Umana gloria” (Mondadori, 2004), “Pitture nere su carta” (Mondadori, 2008), “Tersa morte” (Mondadori, 2013). Nel 2010 ha pubblicato la raccolta di prose poetiche “Materiali di un’identità” (Transeuropa, 2010).

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Da “Tersa morte”, di Mario Benedetti, Mondadori, 2013

Il mio nome ha sbagliato a credere nella continuità
commossa, i suoi luoghi intimi antichi, la mia storia.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Gli ospedali non hanno corsie. Dal cimitero dei cani
vicino alla discarica di Limbiate escono i morti al guinzaglio.
Non si addensa nulla, si disperde al telefono il mio petto.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Sei solo stanco, ripete una voce qualunque.

______

Mario Benedetti (Udine, 9 novembre 1955). Si è laureato in “Lettere” con una tesi sull’opera complessiva di Carlo Michelstaedter all’Università di Padova, poi si è diplomato in “Estetica” presso la Scuola di Perfezionamento della stessa Facoltà universitaria. Nel 1994 si è trasferito a Milano. E’ stato tra gli animatori della rivista di poesia «Scarto minimo» (1986-1989). Le sue opere poetiche sono “Secoli della primavera” (Sesante, 1992), “Una terra che non sembra vera” (Campanotto, 1997), “Il parco di Triglav” (Stampa, 1999), “Borgo con locanda” (Circolo culturale di Meduno, 2000), “Umana gloria” (Mondadori, 2004), “Pitture nere su carta” (Mondadori, 2008), “Tersa morte” (Mondadori, 2013). Nel 2010 ha pubblicato la raccolta di prose poetiche “Materiali di un’identità” (Transeuropa, 2010).

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Da “Tersa morte”, di Mario Benedetti, Mondadori, 2013

Il mio nome ha sbagliato a credere nella continuità
commossa, i suoi luoghi intimi antichi, la mia storia.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Gli ospedali non hanno corsie. Dal cimitero dei cani
vicino alla discarica di Limbiate escono i morti al guinzaglio.
Non si addensa nulla, si disperde al telefono il mio petto.
Le parole hanno fatto il loro corso.
Sei solo stanco, ripete una voce qualunque.

______

Mario Benedetti (Udine, 9 novembre 1955). Si è laureato in “Lettere” con una tesi sull’opera complessiva di Carlo Michelstaedter all’Università di Padova, poi si è diplomato in “Estetica” presso la Scuola di Perfezionamento della stessa Facoltà universitaria. Nel 1994 si è trasferito a Milano. E’ stato tra gli animatori della rivista di poesia «Scarto minimo» (1986-1989). Le sue opere poetiche sono “Secoli della primavera” (Sesante, 1992), “Una terra che non sembra vera” (Campanotto, 1997), “Il parco di Triglav” (Stampa, 1999), “Borgo con locanda” (Circolo culturale di Meduno, 2000), “Umana gloria” (Mondadori, 2004), “Pitture nere su carta” (Mondadori, 2008), “Tersa morte” (Mondadori, 2013). Nel 2010 ha pubblicato la raccolta di prose poetiche “Materiali di un’identità” (Transeuropa, 2010).

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30 settembre 2014 2 30 /09 /settembre /2014 09:40
a cura di Ninnj Di Stefano Busà
CORRADO CALABRO'
Nato a Reggio Calabria 13 gennaio 1935. Giurista. Poeta. Scrittore. È una figura di spicco nel diorama giuridico/letterario di oggi. Da gennaio 2011 presidente dell’Euro-Mediterranean Regulators Group, associazione di 20 Paesi rappresentati dalle rispettive Autorità di vigilanza del settore delle telecomunicazioni.
Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (2005-2012). È entrato a far parte del Consiglio di Stato e vi ha svolto gran parte della sua carriera tra toga e politica.
Nel 2001, alla presidenza del Tar del Lazio. Ma Calabrò è quel che si dice personalità eclettica, poliedrica, che non si può racchiudere in poche definizioni: “la poesia è l’attività più appassionante che io conosca” ama dire, e sentire questa affermazione da un uomo di legge come lui (allarga il cuore). Attraverso i suoi continui contatti in vari paesi del mondo,
le sue poesie sono state tradotte in sedici lingue.
 Ha al suo attivo un romanzo: Ricorda di dimenticarla, (1999). Ultima pubblicazione: Mi manca il mare (Genesi 2013).
Il tempo si raggruma

Sei qui:
non si dibatte più, mosca impazzita,
nella rete delle ore la tua assenza.

Sei qui:
non pialla più il cervello
la tua attesa.

Sei qui:
il tempo si raggruma,
lo spazio prende corpo in questo evento.



Incontro rovesciato

Ho incrociato stanotte, rientrando,
i piccoli fari furtivi
degli occhi di un gatto.

 

Mi manca il mare

 

 

Toda mujer es del primero que sabe soñarla.

 

(Charles Chincholle)

 

 Se non sognassi non avrei un passato

 

Non appartiene al navigante il mare

che ha solcato

 

Non trattiene chi nuota

altro che il sogno

del mare che ha abbracciato.

 

 

 

                                   Corrado Calabrò

 

 

 

 

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28 settembre 2014 7 28 /09 /settembre /2014 13:02

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

Maurizio Cucchi è uno dei più rappresentativi poeti del diorama moderno. E' nato a Milano il 20 Settembre del 1945, dove vive. Si è laureato all'Università Cattolica con una tesi su Nelo Risi e Andrea Zanzotto.
Cronista sportivo dal 1960 al 1971, un’attività che ha ripreso e che continua a esercitare sporadicamente per vari giornali, da “Italia Oggi” al “Corriere dello Sport” a Rigore” ed ha insegnato nella scuola media dal 1972 al 1981.
Si impone alla critica e al pubblico già con la prima raccolta di poesie nel 1976 "Il Disperso.
Per anni opera come consulente editoriale, critico letterario e traduttore (Flaubert, Lamartine Mallarmé, Stendhal, Villiers de l'Isle-Adam, Prévert).collaborando a numerose riviste – “Paragone”, “Belfagor”, “Nuovi Argomenti” – e alle pagine culturali di varie testate giornalistiche – “l’Unità”, “Il giorno”, “Tuttolibri”, “Panorama”, “Il Giornale”, “La Voce”.
Nel 1980 pubblica "Le meraviglie dell'acqua" e due anni più tardi il poemetto "Glenn",Premio Viareggio 1983,nel 1987"Dama del gioco" e "Poesia della fonte", PremioMontalenel 1993.
Dal 1989 al 1991 ha diretto il mensile “Poesia”, ha fatto parte del comitato di lettura della Società di Poesia e dell’”Almanacco dello Specchio” ed attualmente collabora alla “Stampa” e tiene, sul settimanale “Lo Specchio”, una rubrica di poesia che dedica molto spazio anche a poeti esordienti.
Nel 1996 ha curato, con Stefano Giovanardi, l'edizione di una antologia dei poeti italiani del secondo Novecento, edita nei "Meridiani" Mondadori.Tra le ultime opere pubblicate: Vite pulviscolari (Mondadori, 2009); Malaspina (Mondadori)

 

 

 

 

bibliografia:

Il disperso, Mondadori, 1976 e Guanda, 1994 
Le meraviglie dell'acqua, Mondadori, 1980 
Glenn, San Marco dei Giustiniani, 1982. Premio Viareggio 1983
Donna del gioco, Mondadori, 1987 
La luce del distacco, Crocetti, 1990
Poesia della fonte, Mondadori, 1993. Premio Montale 
L'ultimo viaggio di Glenn, Mondadori, 1999
Poesie 1965 - 2000, Mondadori, 2001
Per un secondo o per un secolo, Mondadori, 2003
Il viaggiatore di città, LietoColle, 2004
Il male è nelle cose, Mondadori, 2005
Il denaro e gli oggetti, Il Faggio, 2006

 

 

Il bacio della buonanotte

 

Ti ritrovo ogni giorno di più nei miei gesti,  

persino nel battere del tacco sulla strada, nel frenare

del passo, nei lineamenti sempre più vicini, nell'aggrottare

la fronte

 

 

Tenerezza bambina

 

 

La tenerezza bambina della donna

si realizza nell'incontro sognato

e chi arriva a inverarlo

quell'incontro

non è angelo del cielo, sublime creatura 

ma un tipo qualsiasi come me,

che trova per sempre un beneficio

e dice grazie.


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28 settembre 2014 7 28 /09 /settembre /2014 10:56

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Francesco Belluomini è nato a Viareggio nel 1941, vive a Lido di Camaiore. Poeta e operatore culturale, ha fondato nel 1981 il Premio Letterario Camaiore dedicato alla poesia, di cui è presidente. Ha pubblicato di poesia: L’altro io (Campobasso, 1976), Già dell’equivoco (Seledizioni, 1978), Giorni miei: la storia già scritta (Forum, 1979), I racconti dell’anima (Periferia, 1982), Il melomalessere (Tracce, 1985), Tartine e/o Quartine (Campanotto, 1990), Nudità degli eletti (Viareggio, 1993), Sul secco di quell’erba (Pagine, 2002), Oscillazioni del Pendolo (Campanotto, 2002), La distanza del dialogo ( Luci del Porto, 2003), Senza distanze (Bonaccorso, 2004), Celeste odissea (Bonaccorso, 2008), Occhi di gubia (Lieto Colle, 2008), Escobenes (Lieto Colle, 2009), Nell'arso delle sponde (Bonaccorso, 2010) Occasioni di poesia (Tracce, 2011).

Ha inoltre firmato i romanzi Le ceneri rimosse (Newton Compton, Roma 1989), L’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (Bonaccorso), La finestra sul mare (Bonaccorso, 2007), Villa Giulia (Bonaccorso, 2009), Mary Moss (Bonaccorso, 2011).

Tra le opere antologiche e monografiche che raccolgono suoi lavori si devono ricordare: Poesia della metamorfosi (Stilb, 1984), Poesia italiana contemporanea (Vague, 1985), La poesia in Toscana (Forum, 1985), A cominciare dalla zeta (Campanotto, 1985 ), Il sogno di Parnaso (Biennale di Alessandria, 1986), Inchiesta sulla poesia italiana in prospettiva duemila (Riscontri, 1986), Guida ai poeti degli anni Ottanta (Spirali, 1987), Le proporzioni poetiche (Laboratorio delle arti, 1988), Le parole dello Sport (Coni, 1991), La poesia in forma chiusa (Biennale di Alessandria, 1990), La parola originaria (La Corte, 1991), Poeti latini tradotti da scrittori italiani contemporanei (Bompiani, 1993), Accessibili distanze (La vita felice, 1999), Ondate di rabbia e di paura (Pagine/ Rai Eri, 2002), Diversi (Dialogolibri, 2004), L'amore, la guerra (Rai Eri/ Ibiskos-Ulivieri, 2004), Diversi 2 (Dialogolibri, 2005), Poesia del novecento in Toscana (Biblioteca Maruccelliana, 2009), Poesia Italiana contemporanea (La Cabra Ediciones, 2010), I miei sogni son come conchiglie (Rizzoli, 2011), Animali diversi (Nomos, 2011), Le strade della poesia (Delta 3, 2012), 100 Thousand poets for Chang (Lavinia Dickinson, 2012).

 

 

DI ME VIVI SEDUTA

A mia moglie

 

 

Mi capisci spero anche se annotta presto sul divano nessuna flotta ha più il suo capitano di ventura né stura desideri oltre il consenziente quest’alcova; di me vivi seduta questo dato piegato all’udire: c’è sorriso invernale dentro un David senza nessun Golia.

 

 

 

 

 

 

Dario Bellezza

 

Sei andato... ma l'alba è sorta chiara

ed è spuntato un sole senza lacrime.

Un fatto che accomuna, nessuna transazione

come la guerra che combattiamo assieme.

La storia, quella dei pochi, non comprende

quelli dei taboga, i disattesi della parola:

il semiOlimpo ha le mani callose

quelle che non trasudano nei salotti.

Sei andato lasciando i tuoi fendenti di carta

la tua dolente ironia, quel nonostante tutto

del vivente tra viventi. Non eri atteso

e non aspettarti ora gli oltre degli echi:

per noi le campane suonano solo a morto.

Chissà perché la cosa, quali le ragioni

gli azzeramenti degli scalini...

Un rapporto pesantito dai miei carichi,

dalla gente, dal pudore del mio essere

ortodosso, ma non serve la morte

per indebolire l'amizia.

 

 

 

Amelia Rosselli

 

Vorrei poter recidere un fiore

nel giardino proibito per Amelia,

sottrarla dall'esilio continuato

dopo quello d'epopea di famiglia.

Averla vista prima della cosa,

come il gatto, che dopo la cercava.

miagolando dall'alto per la ciotola

vuota. Poterle dire della forza

del tagliente linguaggio dei suoi versi,

per nulla femminili, e della voce

nel roco del transalpino fonestismo.

 

Spero che la ricordi quell'avaro

mondo, cui sempre poco si concede

a chi non porta dote contingente,

 ma spero la contenti questo fiore

come perenne dedica d'omaggio.

 

 

 

 

Antonello Trombadori      

 

Ricordo nell'uomo ligio che conobbi

la fierezza di vecchio partigiano

e dedico parole non dolenti

raccolte nel momento del distacco,

seppur con educata propensione.

So quanto scorre l'acqua sotto i ponti

e quanto fu ribelle la miseria

perché vissuta tutta l'esperienza

da quando vidi luce nel malanno.

Nel furore dei rossi sventolii

si giacque d'attesa e sangue mia madre,

che si segnava ai pasti e guerreggiava;

e fu tutto un grido in diecimila bocche

tra sudore e pugni chiusi a partorirmi.

Ma lo spazio costante del cordoglio

registra l'uomo d'arte, il poeta

mai domo dei sonetti romaneschi

e l'intellettuale privo di rimpianti,

senza pesi d'ideologica scansione.

 

E nell'andare via vedo quel gelo

che raffredda la voce dei poeti

e lascio questa mia corrispondenza

ai valori ruotanti la passione,

negando m’appartenga l’apatia

che sempre aspra e netta ci soggiace.

 

Quando lascia un amico

ad Alberto Cappi

Scusami, amico mio, se non esprimo

con compiuto dolore la scomparsa

 terrena del tuo corpo e se spendo

tutto per le tue figlie, per Raffaella, 

e l'oltre per la piccola bambina,

anche se poco credito dispongo.

Per te, Alberto, non sono necessarie

parole di commiato: la tua storia,

i tre lustri del viaggio d'avventura

al Camaiore, i tuoi saggi, la tua poesia,

l'umanità dell'uomo nei rapporti

nel mondo delle dispute focali,

vieteranno lo spengersi del faro

sul tuo nome. Cosi come rimani

vivido nel compreso dei miei giorni,

in quelli riparati dalle scorie

invasive d'astrusi quotidiani.

Questa sera la sedia resta vuota

né siamo stati, come di consueto,

al bar a bere il bianco di straforo,

ma non disperdo passi dei miei passi

né quel discreto modo di proporli.

(Lido 12 settembre 2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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25 settembre 2014 4 25 /09 /settembre /2014 10:16

INTERVISTA RILASCIATA da Ninnj Di Stefano Busà

a Nicola Franco, blogger Redazione: Ciao/Italian di Montreal (Canadà)

 

D. A che età ha cominciato a scrivere poesia? La Poesia si raggiunge per gradi in un procedimento lungo nel tempo,  oppure è folgorazione immediata?

 

Ho iniziato a scrivere a tredici anni, ma ho pubblicato le prime poesie quando mi sono sentita più matura per farlo. Da allora, è stato un susseguirsi di libri, di pubblicazioni varie su riviste, di concorsi. Avevo spalancato la porta alla poesia e lei mi veniva incontro, si concedeva a me come un derma profondo, che da quel momento ho considerato la mia seconda pelle. Ho cominciato a leggere poesie di poeti spagnoli, inglesi, francesi, italiani; mi sono interessata ai classici, ai poeti russi. Ogni modello, ogni stile andavano bene per me. Ovviamente ogni età ha avuto il suo “itinere”, mi ha dato qualcosa: suggestione, emozione, incanto, ne ho amati tanti di poeti e, ognuno mi ha insegnato qualcosa di nuovo, di particolare, d’interessante.

Quelli che hanno formato la mia giovinezza sono molti e negli anni li ho riletti per assaporare altre sfumature della loro arte. Oltre a quelli dei tempi scolastici, Dante, Petrarca, Foscolo, Manzoni, Pascoli, Carducci anche i più contemporanei: D’Annunzio, Montale, Ungaretti, Zanzotto, Luzi, Quasimodo, Gatto.

Taluni di questi autori ci segnano la vita, tracciano un percorso, danno il senso vero di una condizione linguistica che si fa portavoce per il tuo futuro, altri fanno da guida, inducono ad un pensiero alto della storia letteraria, ti indicano una strada da percorrere, in solitudine (si capisce), perché il poeta, ogni poeta deve scrivere solo con se stesso, formulare un modello autobiografico, sapersi trovare, riconoscere nella lingua che lo rappresenti e gli è più congeniale.

 

D. secondo lei il poeta può modificare il suo percorso, il suo itinerario, inaugurare un linguaggio nuovo che lo differenzi? Può inventare una linea che costituisca la sua vera forza, il suo punto di riferimento per sempre?

 

R. La forza del poeta sta proprio nel rinnovarsi, nel ripresentarsi sempre nuovo, l’eclettismo necessario è una energia che lo solleciterà a sempre nuovi approdi, modificherà molti dei suoi progetti iniziali, attraverso una catarsi letteraria che solo lui saprà introdurre potrà (se lo vuole) cambiare i suoi molti destini: attraversare il dolore, la solitudine, e rifondersi in un suo viaggio personale nel tentativo di possedere definitivamente la forma, la categoria della sua “parola”: L’importante è uscire dalla banalità, non essere fermi al suono, al balbettamento che ti prende e ti modella. 

Attraversare i propri limiti, imporsi un’adeguata preparazione leggendo molti testi, superare il proprio status di esordiente, crescere. Non penso però che il poeta debba o possa rifondare un nuovo rapporto tra sé e la poesia in continuazione.

Vi sarà un momento che deve fermare la sua attenzione su uno stile e personalizzarlo, caratterizzandone la categoria che più si è imposta. L’importante è provare a non essere amorfi, insabbiarsi in sistemi logori, raffermi, in posizioni di caduta libera. C’è la tentazione a volte di lasciar perdere, di non inventarsi niente di nuovo, di abbandonarsi a stilemi desueti o eccentrici della propria poesia. Qui sta lo sforzo immane di non rinunciare, fare dell’esordio una premessa, un preliminare di continuità, non diventare un fuori ruolo, non fare della poesia un atto transitorio, revocabile, oscillante.

 

D. Lei ha scritto molti libri di poesia per l’esattezza 23, sono un numero elevato di opere, senza aggiungere la saggistica, la critica, la narrativa...nota che c’è differenza tra il suo tempo precedente e quello attuale, la passione le si è stemperata, o prova lo stesso sentimento intrinseco, intimo e appassionato delle sue prime opere?

 

R. Si cambia, perché l’individuo cambia, il poeta cresce ogni giorno, diventa autoreferenziale se trova la via giusta, si definisce in una realtà, in una esperienza che sono nuove e diverse nel tempo, ma se devo essere sincera, conservo dopo quarant’anni lo stesso interesse, la stessa passione che intriga ogni mia nuova opera e mi fa desiderare di concluderla. Se questo non è amore per la poesia, cos’altro è? Mi accorgo che resta incompiuta sempre una poesia, quella che non si è ancora scritta e chissà se mai si scriverà.

 

D. Ogni poeta ha un concetto di poesia suo “personale”, vi sono miriadi di processi linguistici e tante diverse definizioni di poetica. Per Lei, che cos’è la poesia?

 

R. Un lungo camminare a zig zag,  un procedere a volte ad ostacoli, un passaggio influenzato da una facoltà del dire “inequivocabile”, a volte anche un tornare indietro per ritrovarsi, rinnovarsi; è un po’ come la vita, non ti appartiene del tutto, (perché c’è la fine sempre in agguato), ma la vivi ogni giorno, te ne innamori, la contieni all’interno, l’alimenti, perché non ne puoi fare a meno, se la possiedi dentro è per sempre, come un figlio, un differimento procrastinato dell’anima.   

 

D. Lei ha scritto finora veramente tantissimo...scrive per diletto, per passione, con metodo? O perché folgorata da un momento ispirativo che Le dà la potenzialità, la tensione...emotiva

 

R. La poesia è il lampo di un solo momento, se si spegne quell’istante“perfettibile” in cui da banalità la poesia si può trasformare in un episodio immortale, se non assecondi quell’illuminazione che ti prende improvvisa e ti scuote tutto l’essere dall’interno,  non puoi più sperare di riafferrarlo. Lo si perde per sempre. Devi abbracciare l’ispirazione nell’istante in cui giunge a te, devi darti interamente ad essa, senza vizi di forma.

 

Come vede la poesia italiana di oggi?

 

R. Il Novecento italiano è un territorio vastissimo, un coacervo di molti miti, di molti stili. Vi sono anche tra i giovani dei buoni talenti. Auspico che la poesia non decada con l’avvento dell’informatica, che potrebbe rappresentare un ostacolo alla continuità del messaggio, trattandosi quest’ultima di una forma molto speciale di linguaggio che non può adattarsi a sintomatologie che siano diverse dall’anima.

 

 

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23 settembre 2014 2 23 /09 /settembre /2014 17:03

DaEros e la nudità

La poetica di Ninnj Di Stefano Busà

 

(a partire ...dall'incipit )

L’amore non è né comodo né facile,

ci arde solamente dentro come una scintilla vitale,

ci scorre tra le pieghe come un istante perfetto

nell’arroganza di solitari silenzi.

 

Iniziare da questa citazione testuale della plaquette: Eros e la nudità significa penetrare a fondo nella verità e nella vitalità della poetica di Ninnj Di Stefano Busà. Un canzoniere d’amore che investe con tutta la sua portata emotiva la sensibilità di ognuno di noi. Un canto totale, plurale, apodittico, dal sapore sabiano, che tanto si colloca nella nostra tradizione letteraria. E che tanto rappresenta l’inquietudine del vivere, leitmotiv nelle opere della Busà. C’è in lei, nel suo canto, un azzardo continuo verso mete che allarghino sguardi oltre la brevità della nostra vicenda. Partendo dalle cose semplici, dai minimalismi, per conservare nelle fughe il respiro fecondo della terra. L’Autrice, con potenza evocativa e con leggerezza versificatoria, riesce a dare corpo a tutta la sua substantia, ricorrendo all’humanitas del suo essere e alla grande esperienza di frequentazione letteraria. E che frequentazione! E lo fa amalgamando sentire e dire. Lo fa con una simbiotica e quanto mai rara fusione fra anima e voce, dove i barbagli e le folgorazioni ci prendono per mano e ci elevano oltre, facendoci dimenticare, con il Bello, il rapporto della vicenda umana col tempo; le miserie del quotidiano. Ed è così che, evitando l’insidia dei luoghi comuni e del verso facile, ci trasferisce nelle alte sfere della Poesia che, attraverso un percorso irto e petroso, riesce ad innalzarsi fino agli azzurri più intensi del cielo; su cime da cui si aprono orizzonti di larga estensione. D’altronde l’amore non è né comodo né facile, dacché è vita, partecipazione, soluzione e insoluzione, aspettativa e dolore, quietudine e inquietudine; groviglio di sensazioni che si avviluppano in un silenzio rumoroso. Ed è proprio il silenzio ad avvicinarci al sogno e al volo, a quelle fughe di romantica memoria, anche, che fanno del sentimento dei sentimenti una categoria dello spirito d’insaziabile desiderio. Una categoria che si fa nell’Autrice una cifra stilistica dai toni essenzializzati e scarnificati per rompere gli stampi del consueto, per ricuperare, con pienezza ontologica,  lo slancio più alto della letteratura erotico-esistenziale. Ed è in questi silenzi che l’amore arde dentro, e scorre “tra le pieghe” come un istante perfetto. Come se la perfezione fosse là. In quello stato emotivo che pensiamo definitivo, ultimato, completo, realizzato. Ma, purtroppo, non è così; niente è definitivo, men che meno l’amore; men che meno l’aspirazione al tutto a cui la Busà aspira; dacché Ella è poetessa dell’indefinito, di tutto quello che esiste tra una parola e l’altra; e l’indefinito ci chiama e ci assilla, ci tormenta e ci chiede, pretende quelle definizioni che si fanno a dir poco improbabili, considerando le possibilità che ci sono concesse dalle ristrettezze del nostro esser-ci:

 

Mentono ora le tue notti, si allungano

sul selciato dormienti e ingioiellati

dell’oro della terra.

Tutto l’amore è in fuga da se stesso,

sul petto, solo qualche rara orchidea

sa il dolore rappreso nel sangue.

Spore in preda al delirio,

l’amore trova sempre l’orlo dell’abisso

in cui cadere e poi risuscitare.

 

Cadute e risalite di generosa intensità lirica. Di generosa forza epifanico-introspettiva che ci dicono del vivere e de redito suo.

Ed è qui la grandezza della poesia di Ninnj Di Stefano Busà, nell’analisi approfondita, che mette a nudo un’anima contaminata da questo morbo dolce-amaro, che è la vita. Lo fa con un cuore a fior di pelle e con una parola che asseconda, diligentemente, ogni richiamo emozionale od ogni commistione fra intelletto e passione affidata al supporto d’intrecci narratologici. Alle ragioni e alle figure decisive dell’esistenza. Figure che si fanno spiritualità, vissute e ri-vissute con sguardo fermo e con occhi lucidi; con sobbalzi intimi limati dal tempo.  

Ma ci sono le assenze, le sottrazioni che chiedono l’aiuto di configurazioni e cromie paniche per farsi concrete: l’acqua che rigurgita d’insetti, giunchiglie che impazzano, ombre arruffate, baratri di cellule viventi. Questo è l’amore che più non folgora:

 

Impazzano giunchiglie nei fossati

e l’acqua rigurgita d’insetti.

Non resta che la resa,

appena un’ombra un po’arruffata

gioca coi fantasmi, chiamandoli per nome.

Un brivido di stelle,

un baratro di cellule viventi:

l’amore che più non folgora.

 

Ma interviene la memoria con la sua forza affrancatrice, con la sua carica di schegge furtive, con le sue alcove rigeneranti a riportare a vita giorni di sole e notti di sospiri:

 

S’impastava al verde degli anni

l’amoroso gaudio, si coniugava

ai corpi come l’oro al manto stellare,

quando nel buio era bello tacere.

Come un mantra inonda

il cuore della terra e vi s’incesta

nel gesto risoluto e sereno,

come di astrofilo al suo cielo.

 

Una vera simbiosi fra cieli stellati e ghiotti silenzi a inondare il cuore della terra, a creare immagini che avverano fusioni fra astrofili e cieli. Nessi di grande rilevanza scenica, di efficace resa visiva, dove l’eros si fa interprete principale di un film in bianco e nero, ricoprendo parti di realistica pluralità: il fedele compagno di vita, colui che tradisce ed esaspera, colui che si fa vero alimento esistenziale, colui che porta dolore e che immette in una strada che tanto sa di via crucis. Un sentimento ritrattato in tutto il suo climax, disegnato a nudo in tutta la sua molteplicità.    

E anche la giovinezza viene affrontata con tale liricità, con tale controllo emotivo, con tale ariostea visione, che tutto scorre con una resa di generosa eufonica musicalità. Segno di spontaneità, di netta ispirazione trascinatrice, e di materia macerata in un’anima da tante primavere:

 

Fummo fragranza di terre lontane,

vento di passioni, mere effrazioni,

dentro corpi felici.

                             Era la giovinezza,

o l’onda del mare alterata dal vento

che inondava di spruzzi il nostro viso.

Una pur breve eternità cogliemmo

da vertigine d’amore.

 

Breve eternità di  vertigini d’amore. Una piena coscienza della vicenda umana. La consapevolezza della precarietà del nostro esser-ci. Ma è proprio su tale consapevolezza che si innesta questo brivido; questa vampata di luce che più si avvicina alle soglie dell’irraggiungibile per la miopia delle facoltà umane. Un attimo per cui vale la pena soffrire, vale la pena vivere, con la speranza di gioire, magari,  pur sapendo che la nostra storia è un tempo donato dalla morte. Ed è con la fantasia, con le ali della poesia, che la poetessa riesce a ovviare alle aporie del quotidiano; e, dacché sa, e ne è cosciente, che la vita si consuma come un cero d’altare, cerca di nutrirla con tutta la potenzialità dei suoi versi.

 

 

 

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22 settembre 2014 1 22 /09 /settembre /2014 21:47

Umberto Vicaretti

 

Rivelatrice e abbacinante, la stupenda lirica di Ninnj Di Stefano Busà mi rimanda, quanto a “parentela” e a poetica corrispondenza, al Montale de “I limoni” e a “O poeta é um fingidor” di Fernando Pessoa. Alla lirica di Montale dove il poeta, tenendo fede alla sua vocazione autentica, interroga il mistero. E così come ne “I limoni” l’ansia di “scoprire uno sbaglio di Natura” e il liberatorio “anello che non tiene” sembra trovare soluzione “in questi silenzi in cui le cose / si abbandonano e sembrano vicine / a rivelare il loro segreto ultimo”, così anche ne “I poeti” l’indagine di Ninnj Di Stefano Busà muove dalla meditazione e dal silenzio; da lì tenta l’inconoscibile, nell’attesa che una verità si disveli. I poeti, infatti, “Se tacciono sono come lame / appuntite nel cuore, quasi inviolabili / o invisibili, e un poco li accompagna / l’ultimo grido, un canto del cigno, / la verità o il segno che ne motiva / la schiusa meraviglia”. Dal silenzio, dunque, e dalla “parola breve e insoluta”, Ninnj Di Stefano Busà scandaglia l’arcana dimensione del vivere e del morire, perché nei poeti e “Nei loro volti si riaccende / il mistero ineludibile che intercetta / la vita e la morte, / le indaga”.

E’ qui, dunque, la missione del poeta, nella ricerca di una rotta che schiuda orizzonti, accenda una luce, prometta approdi. E Ninnj Di Stefano Busà compie questo viaggio come in religiosa attesa, stregata dal fascino della parola e della poesia. Ma nell’altalenante rincorrersi di contrastanti emozioni, tra “l’ultimo grido” e il “canto trascorrente dell’acqua sorgiva”, tra la “vita” e il “cero d’altare consumato”, tra il “canto” e “la lingua muta” e “le lame appuntite nel cuore”, Ninnj Di Stefano Busà denuncia tutta intera la sua natura di assorta e visionaria, di tenera e fragile e dolente sognatrice. Una malinconica natura poetica che, come dicevo all’inizio, mi sembra di rintracciare nei versi di “O poeta é um fingidor” di Fernando Pessoa, paradigma rivelatore della condizione del vero poeta: “Il poeta è un fingidore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente”.

A Ninnj Di Stefano Busà tutta la mia ammirazione.

 

Umberto Vicaretti

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