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30 giugno 2014 1 30 /06 /giugno /2014 10:44

Ugo Piscopo “Oscillamille” Ed Empiria, 2013

 

 

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Un’opera che sa ben rappresentare il temperamento vivace e sorprendentemente vigile e attento dell’autore, impegnato da sempre all’analisi critica del mondo, alle visioni d’insieme, agli sprazzi errabondi di un percorso accidentato come quello umano, agli aneddoti che sanno trascinare suggestioni ed emozioni, riflessioni approfondite e rimbalzi creativi di pensiero profondo.

Non è affatto nuovo Piscopo a presentare, a sorpresa, ai suoi lettori, percorsi alternativi alla poesia, alla critica, alla filosofia, alla sociologia.

Il suo iter letterario è variabile e istintuale, sa spaziare nei diversi gradi dello scibile con estrema precisione e leggerezza, a volte anche con una timbratura forte, più decisa, ma sempre nei confini della logica intellettuale.

La sua istanza culturale gli permette di muoversi liberamente tra le varie discipline

con abile e arguta penna.

È piacevole leggerlo, perché sa istruire, di accento in accento, quella sua ironia raffinata e provocatoria pronta a dare sfaccettature di ottima resa linguistica, con accensioni che variano da una specificità all’altra, da una estensione all’altra, in maniera mai contemplativa o estatica, non teorica e astratta, ma pertinente, mordente, destinata ad ogni lettore.

La sua verve è ormai nota. Ugo Piscopo indaga, studia, esamina. La sua è una schietta parola, un linguaggio al quale non manca mai la scintilla per attizzare la fiamma che, di libro in libro, ecletticamente sa esperire.

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29 giugno 2014 7 29 /06 /giugno /2014 13:56

a cura di Rina Accardo

 

Mi sembra incredibile che io abbia trovato pezzi di vita mia in un romanzo. Non circoscrivibili agli avvenimenti, ma alle sensazioni provate e mirabilmente descritte dall’autrice, Ninnj Di Stefano Busà.

Non ho potuto fare a meno di visualizzare i posti incantevoli visitati dai protagonisti nelle foto scattate da mia figlia che si è trovata per un gioco del destino a visitarli.

Mi sono ritrovata poi a tirar fuori merletti, lenzuola di lino, sete dimenticate in bauli antichi. E ancora, servizi in porcellana finemente decorati.

Avevo forse bisogno di questo bagno di bellezza per godere di quanto altrimenti sarebbe rimasto sommerso da tovagliato plastificato, tazzine smaltate …tutto all’insegna del modernariato.

Pescare nel passato, viverne la bellezza in ogni fattura, può essere di ristoro. Questo è successo a me, ed è tutto merito di chi, con tratti pari a pennellate, ha saputo condurmi in una magnificenza che mi ha reso grata ai miei cari così come nel libro – dove tutto si dipana quasi in un procedere obbligato, dai protagonisti della storia ai loro figli, ai viaggi, ai patemi d’animo, ai momenti sofferti, e ad altri di squisita felicità – è tangibile una grande gratitudine al Cielo.

L’accostamento personale è dovuto alla mia immersione involontaria nell’intreccio, individuabile, con fili penduli cromatici, che anima “Soltanto una vita”.

Non svelo la trama, mi soffermo a sottolineare che i dettagli, in questo romanzo, hanno sublimato luoghi e stati d’animo descritti nei minimi particolari, suggellando la presa di coscienza così come il coinvolgimento totale nei vari eventi di ogni ‘protagonista’. Non ci sono figure anonime/comparse infatti, l’autrice ha permesso che ogni ruolo ricoperto divenisse parte integrante, nessun soggetto comprimario.

Dalla lettura si desume che capillare è l’Amore, per poter aver occhi che permettano di vedere compiutamente ogni sfumatura della natura così come ogni risvolto dell’animo. Sentimenti opposti in base agli avvenimenti, ora dolorosi ora di assoluta gioia, che portano di volta in volta o all’accettazione o a vivere con passione quella che è “SOLTANTO UNA VITA”.

Libro che porta ad apprezzare il bello che già ci appartiene, riscoprendo e portando alla luce valori sommersi, o forse solo sopiti. La consapevolezza di grandi ricchezze che tacciono in noi, che ignari ospitiamo, un obiettivo.

Ci troviamo di fronte a un regalo di cui non si può fare a meno di essere grati all’autrice, per questo fantastico volume, il cui valore non si può restringere al linguaggio aulico che vi ritroviamo, ma si estende, diventandone fulcro. È un canto, un ossequio alla vita.

Un oceano di emozioni, che trovano la matrice in quello stesso oceano in cui è ambientato “Soltanto una vita”, e qui elemento trainante che conduce il lettore, quasi per mano, in spazi infiniti.

L’arte della scrittura qui si impone nelle pagine al pari dell’arte del volo in un’aquila reale.

                                                                                                    Rina Accardo

 

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26 giugno 2014 4 26 /06 /giugno /2014 20:44

Profilo di Franco Campegiani

 

Franco Campegiani vive a Marino (Rm), dove è nato nel settembre 1946. Ha pubblicato nella collana di Mario dell'Arco: "L'ala e la gruccia" (1975) e “Punto e a capo”  (1976). Nel 1986 ha pubblicato “Selvaggio pallido” nelle collane di "Carte Segrete”, con disegni di Umberto Mastroianni. Quindi, nel 1989, “Cielo amico”, in una collana della Ibiskos inaugurata da Domenico Rea. Del 2000 è "Canti tellurici" ("Sovera Multimedia”) e del 2012 “Ver sacrum” (“Tracce Edizioni”). In campo filosofico, ha pubblicato nel 2001, con l’editore “Armando”, un saggio dal titolo: "La teoria autocentrica - analisi del potere creativo", prefato dal filosofo Bruno Fabi, dove ha sviluppato un'innovativa teoria dell'armonia dei contrari. Critico d’arte, Campegiani è giurato in alcuni premi letterari e ha curato rassegne e collane per conto di Editrici e Gruppi culturali. Collabora a riviste, a blog letterari e ha promosso manifestazioni artistico-letterarie, nonché eventi multimediali ed iniziative ecologiche. Ha dato impulso a svariati cenacoli culturali e nel 2005, insieme allo scrittore Aldo Onorati e al sociologo Filippo Ferrara, ha dato vita al Manifesto dell'Irrazionalismo sistematico ispirato all'opera del Maestro Bruno Fabi. Numerosi i riconoscimenti e i premi conseguiti. Nel 2008 il Progetto Athanòr gli ha conferito una laurea honoris causa in filosofia. E' antologizzato in "L'evoluzione delle forme poetiche" (Kairòs 2013), una ricognizione sulla migliore produzione poetica nazionale dell'ultimo ventennio, a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo.

 

 

 

Il tempo delle origini

 

Vuoto mentale, all'improvviso,

e si svegliano i fanciulli,                      

un popolo di essenze

e di temibile amore

che si riversa nelle vie,

colombe sulle spalle

e conche sulla testa

d'acqua purissima

attinta alle fonti del non-tempo,

del presente eterno

multicolore e vario,

posto tra parentesi,

nascosto tra le pieghe

del tempo che fu e del tempo

che non è ancora stato,

quel presente che non scorre

ed è padrone del tempo,

lo tiene in mano, facendolo

vergine e nuovo

e sempre facendolo vibrare.

All'improvviso si spegne

questa flebile luce

della storia e dell'intelletto fatuo,

del grigio memoriale,

dell'acrilico colore delle attese,       

e torna il tempo delle origini           

con immutati stupori.

Passato e futuro

sono carboni ardenti,

ali di morte d'una bruciata falena,

le due teste agonizzanti di Giano,

e il nuovo giorno incede radioso,

con fiamme d'azzurro

tra vergini terre e salmastri mari

ribollenti di selvaggia energia.

Irrompe l'eterno nel tempo

e basta un attimo                             

per rinnovare smarrite alleanze,

ritrovare sacre relazioni.

Un sole nuovo scintilla,

sereno sguardo del nascosto dio.

Un solo attimo, poi torneranno

schizofreniche le teste ad urlare,

divaricandosi i tempi

delle memorie e delle attese,

chiusi per sempre i canali. 

 



Alzo il calice

 

Alzo il calice in trepida attesa.

Al di là dei flutti spumeggianti

apparirai danzante in filigrana       

e un’onda anomala mi porterà da te.

Sarà allora il momento d’annaffiare

l’arso palato affinché irrompa

l’entusiasmo del dio nelle mie vene 

per salpare e sciogliere le ali

verso ogni cosa diversa da me.

Cercherò l’estate nell’inverno

e nel sole la turgida luna,

cercherò il mattino nella sera

e la morte nella vita,

io convesso nel tuo concavo biondo,

contadino di cieli siderali,

dove poterti infine respirare

ed averti totalmente…

Fuggirai ridente, lo so,

oltre le rive abissali

insieme al dio che sparirà

da questo calice,

quando io l’avrò svuotato,

oltre frontiera,

e la morte verrà.

Ma al di là di un altro calice ambrato,

ancora ti vedrò danzare,

vesti al vento, seni al vento,

gambe schiuse

sulla mia solitudine nera,

mentre squarci d’eterno fioriranno

su questi tavoli d’osteria.

Fuggirai ancora, lo so,

nell’insondabile mistero

insieme a tutto ciò che è altro

e diverso da me.

E’ novembre e un vento di primavera

scende nei vicoli dai cimiteri,

spruzza fragranze nei vuoti calici             

dove il glicine spunterà.





 

 



 

 

 

 

 

 

Piovra metropolitana

 

Di cemento e di asfalto dipinsero

il verde dei colli, squassarono valli

questi serpi di piovra,

prosciugarono laghi,

stregarono rocce,

sibilando sinistri nel vento

metropolitano…

Con un colpo di coda dall’Urbe

la piovra annullò le vigne dei padri

e succhiò in un ghigno dai monti

le plebi rurali.

Dove sono le strade sterrate,

le contrade maestre di vita?

dove i carri, le greggi, le file

di muli a sgravarsi dai dorsi

le grasse vendemmie

nei grottini di mosto odorosi?

Invano mio padre nell’orto

l’accesso sbarrava

a tetti e ciminiere.

Invano cantavano i vicoli

al ritmo delle mandòle

e le piazze al bisbiglio

di fresche fontane.

Del peperino si spense

la grigia vivezza

nel grigio morente di smog,

di asfaltocemento,

di nubi tossiche ed altri

civili veleni mortali…

Oh, grazia incivile degli avi,

oh vita, oh morte, oh splendido abbraccio

di aspre dolcezze ed amori letali!

Brindo a te, Giano bifronte,

con questo calice dolce ed amaro.

Il vitale veleno rinnovi

nel bollente mio sangue barbarico

la virile innocenza contadina. 

 

 

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21 giugno 2014 6 21 /06 /giugno /2014 20:36

NOTE  BIOBIBLIOGRAFICHE

 

 

 

Poeta e critico letterario, saggista, Sandro Angelucci vive a Rieti dove insegna ed è nato. Ha pubblicato le raccolte Non siamo nati ancora (Sovera Editrice, Roma) , Il cerchio che circonda l’infinito e Verticalità (Book Editore, Ro Ferrarese). Intensa la collaborazione con riviste culturali nazionali, di alcune delle quali è anche membro del comitato di redazione e collaboratore fisso. Ha ottenuto, per la poesia, numerosi riconoscimenti, tra cui molti primi premi per l’edito, risultando spesso nella terna dei vincitori. Un suo profilo critico è inserito nel IV° volume della “Storia della letteratura italiana. Il secondo Novecento” per Guido Miano Editore in Milano e il suo nome figura in altre antologie e storie della letteratura.E' collocato sul Documento Storico degli ultimi vent'anni in Poesia a cura dei critici: Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo Kairos Editore, Napoli. Del suo lavoro si sono occupati autorevoli critici, poeti e scrittori. Freschissimo di stampa, per i tipi di Blu di Prussia, di Eugenio Rebecchi, il saggio monografico Di Rescigno il racconto infinito prefato da Giorgio Bárberi Squarotti.

 

  

 

 

 

 

 

I FIORI DEL TEMPO

 

 

Contro il cielo

fiori di melograno:

labbra carnose che baciano il Sole.

Hanno un colore che scoppia di luce

che annulla le spine

che spinge a pensare l’estate.

Sono baci, sono amore che dura,

da bere ma non prosciugare.

Per amanti hanno il vento,

una gazza, uno sciame:

a nessuno di loro

fanno mancare bellezza e passione.

Bocche socchiuse

vogliose d’aprirsi, di darsi

d’accogliere il succo maturo

dei pomi sui rami spogliati,

bocche ferite

dai morsi lasciati senza dolore.

Non hanno parole. Solo silenzi

e febbre che sale.

Sono i fiori del tempo.

Sono il tempo dei fiori.

 

 

 

                 

                                                                             Sandro Angelucci 


 

 

 

 

 

KÒRE

 

 

È stata violentata la fanciulla

che correva nuda nel grano

e dietro di sé

lasciava il profumo

di dolce paglia e azzurri fiordalisi.

La sfera di cristallo

-         persa in frantumi -

che aveva nelle mani

riflette ancora il sogno di una madre,

il volto di un bambino.

Tra quelle schegge sangue

-         di vergine, di Dio -

che scende nelle viscere

con l’urlo della vita.

Lo stupratore è immobile,

disteso tra le spighe

il suo rimorso si perde nell’oblìo.

Ma l’oppio dei papaveri

non basta, non per lui.

Alto, si leva un cantico:

“rifioriremo”.

 

 

 

 

                                                                 

                                                                     Sandro Angelucci


 

 

 

 

 

IL NASTRO ARGENTEO

 

 

Scorre nel proprio alveo il tempo,

acqua che si rigenera dall’acqua

in cerca di una foce

di una nuova, imprevedibile sorgente.

E, limpido, si svolge il nastro argenteo

ignaro ma ubbidiente alla sovranità

della parola Amore.

Sul greto, in trasparenza,

si muove il già esistito

e l’esistente gli ribolle intorno

in un vortice che suscita il futuro.

Essere fiume e non conoscersi

se non per quella forza

che ti trascina a valle:

così trascorre il tempo

in una libertà che ci consuma

mentre corrode l’acciaio delle sbarre.

 

 

 

 

 

                                                                       Sandro Angelucci

 

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18 giugno 2014 3 18 /06 /giugno /2014 19:59

 

 

n      ANTONIO SPAGNUOLO -

Antonio Spagnuolo  è nato a Napoli il 21 luglio 1931.

Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali , inserito in molte antologie ,

collabora a periodici e riviste di varia cultura :  Altri termini -   Hebenon -   Il Cobold  -Incroci -  Issimo – la Mosca -  l'immaginazione - l'involucro -l'Ortica - lo stato delle cose - Mito - Offerta speciale - Oltranza -   Poiesis  - Polimnia -   Porto Franco - Terra del fuoco  -Capoverso -   Attualmente dirige la collana "le parole della Sybilla" per Kairòs editore e la rassegna ”poetrydream” in internet  ( http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com ).   

Nel volume "Ritmi del lontano presente" Massimo Pamio prende in esame le sue opere edite tra il 1974 e il 1990 .

Plinio Perilli con il saggio “Come l’ombra di una  nuvola sull’acqua” (Ed. Kairòs 2007) rivisita gli ultimi volumi pubblicati fra il 2001 e il 2007.

Tradotto in francese , inglese , greco moderno , iugoslavo , spagnolo .

Ha pubblicato :

* I volumi di poesia :

"Ore del tempo perduto"  - Intelisano - Milano 1953

"Rintocchi nel cielo" - Ofiria - Firenze 1954

"Erba sul muro" - Iride - Napoli 1965 - prefaz. G. Salveti

"Poesie 74" - SEN  Napoli  1974 - prefaz. Dom. Rea

"Affinità imperfette" - SEN  Napoli  1978 - prefaz. M. Stefanile

"I diritti senza nome" - SEN  Napoli  1978 - prefaz. M. Grillandi

"Angolo artificiale" - SEN  Napoli 1979

"Graffito controluce" - SEN Napoli 1980 - prefaz. G. Raboni

"Ingresso bianco" - Glaux Napoli 1983

"Le stanze" - Glaux  Napoli 1983 - prefaz. C. Ruggiero

"Fogli dal calendario" - Tam-Tam   Reggio Emilia 1984 - prefaz. G.B. Nazzaro

"Candida" - Guida  Napoli 1985  - prefaz. M. Pomilio  (Premio Adelfia 85 e Stefanile 86)

"Dieci poesie d'amore e una prova d'autore" - Altri Termini . Napoli - 1987 (Premio Venezia 87)

"Infibul/azione" -  Hetea - Alatri 1988

"Il tempo scalzato" - All'antico mercato saraceno - Treviso 1989

"L'intimo piacere di svestirsi" - L'Assedio della poesia - Napoli 1992

"Il gesto - le camelie" - All'antico mercato Saraceno - Treviso 1992  (Premio Spallicci 91)

"Dietro il restauro"  - Ripostes - Salerno 1993  (Premio Minturnae  93)

"Attese" - Porto Franco - Taranto 1994 - illustrazioni di Aligi Sassu

"Inedito 95" inserito nell'antologia di Giuliano Manacorda "Disordinate convivenze -

                        ediz. L'assedio della poesia - Napoli - 1996.

"Io ti inseguirò"  (venticinque poesie intorno alla Croce) - Luciano Editore - Na – 1999

“Rapinando alfabeti” – pref. Plinio Perilli – Napoli 2001 –

“Corruptions” – Gradiva Pubblications – New York . 2004 (trad. Luigi Bonaffini)

“Per lembi” – Manni editori – Lecce  2004 (Premio speciale della Giuria – Astrolabio 2005, Premio      Saturo d’argento 2006)

“Fugacità del tempo” (prefaz. Gilberto Finzi) – Ed. Lietocolle – Faloppio 2007 –

“Ultime chimere” – L’arcafelice – 2008

“Fratture da comporre” – ed. Kairòs –Napoli – 2009

“Frammenti imprevisti” – (Antologia della poesia contemporanea) ed. Kairòs – Napoli – 2011

“Misure del timore” – dai volumi 1985/2010 – Ed. Kairòs – Napoli – 2011-

“Il senso della possibilità” – ed. Kairòs – Napoli -  2013 ( premio Sant’Anastasia 2014 + Premio speciale al Camaiore 2014)

“Come un solfeggio” ed. Kairòs – Napoli – 2014-

* I volumi in prosa :

"Monica ed altri"- racconti  - SEN  Napoli - 1980

"Pausa di sghembo" - romanzo - Ripostes - Salerno 1994

“Un sogno nel bagaglio” – romanzo – Manni ed. Lecce – 2006

“La mia amica Morèl” – racconti – Kairòs – Napoli 2008

 

* I volumi per il teatro :

"Il cofanetto" - due atti -  L'assedio della poesia - Napoli 1995

-------

Di lui hanno scritto numerosi autori fra i quali A. Asor Rosa che lo ospita nel suo "Dizionario della letteratura italiana del novecento" e nella “Letteratura italiana” edizioni Einaudi , Carmine Di Biase nel volume "La letteratura come valore", Matteo d'Ambrosio nel volume "La poesia a Napoli dal 1940 al 1987", Gio Ferri nei volumi "La ragione poetica" e "Forme barocche della poesia contemporanea",  Stefano Lanuzza nel volume "Lo sparviero sul pugno",  Felice Piemontese nel volume "Autodizionario degli scrittori italiani" , Corrado Ruggiero nel volume "Verso dove", Alberto Cappi nel volume "In atto di poesia", Ettore Bonessio di Terzet nel volume "Genova-Napoli due capitali della poesia", Dante Maffia nel volume “La poesia italiana verso il nuovo millennio”, Sandro Montalto in “Forme concrete della poesia contemporanea” e “Compendio di eresia”, Ciro Vitiello nel volume “Antologia della poesia italiana contemporanea”, Plinio Perilli in “Come l’ombra di una nuvola sull’acqua”, Carlo Di Lieto in “La bella afasia” , oltre a D. Rea, M. Pomilio,D. Cara, M.Fresa, G. Linguaglossa, M.Lunetta, G. Manacorda , Gian Battista Nazzaro , G. Panella, Nazario Pardini, Ninnj Di Stefano Busà, Ugo Piscopo, G. Raboni , E. Rega,  e molti altri .

 

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A. S. - via g. paisiello  19  -  80128   napoli

tel.   081.  7702471   -   -  spagnuoloantonio@hotmail.com

 

                                      

 

 

 

Un virtuale arpeggio

Fuori tempo , ascoso , dimeno le scintille

a rendere supine le parole.

Lo scattare di trappole che inseguono

l’ombra di un varco  e non sai se resta

uno spazio strappato agli orizzonti.

Ultime briciole nel vuoto del mio tempo

sono vocali in crisi , come segni.

Così rincorro gli attimi che incastri

fra i clip delle illusioni della rete:

vertiginoso inganno del tuo volto

nella finzione magica del video.

Al suono triturato queste le immagini

rubate al corpo.

Egualmente lusinghe in apparenze

nel giro di scommesse

per quella eternità che si dilania

sull’ultima presenza delle attese.

E non mi hai detto : "io vado!"
Perché possa inseguirti
nell'invenzione del tempo
sino a sciogliere ancora la rugiada
che l'alba ha in tradimento.
**

CIGLIA

Tra le ciglia strappo ancora la luce

per tracciare una rima inconsueta

e questa attesa , illusione già inquieta,

soffice bisbiglia un foglio bianco.

Questo è l’azzurro in cui credo ancora,

il candido frastuono dei ricordi

come pistilli che sfuggono le labbra,

e ti inchini gazzella controluce

nel braccio di parvenze:

questo tu m’offri ancora nell’indugio

a dispetto dei soliti stilemi

fra le palpebre e i guazzi

per l’ultimo singhiozzo.

Le tue mani contrastano colori,

impudica al travaso d’orizzonte.

Inghiotte la frequenza delle ortiche

madrigali arrendevoli e gocce coralline.

Sperduto fra la bocca ed il tuo ventre

mi ripeto gli istanti , appagato

per gelosia di amante nel segreto.

Nuda al fondale tu che ridi , ardente,

segnavi passi e sorrisi

spezzando ogni ricordo del rossore.

Il tempo arruffa spazi agli specchi

e l’ombra del tuo corpo

è già un’offerta per singhiozzi suadenti.

 

***

 

 

ANTONIO SPAGNUOLO

 

 

 

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18 giugno 2014 3 18 /06 /giugno /2014 18:07

 

Poesie di Nazario Pardini

 

 

Colloquio con il mare

 

 

Mi trovo qui davanti alla tua piana

frammentata da scaglie ed azzannata

da becchi di uccelli voraci

ed insaziabili. Mare! Mio mare!

Quanto mi sei vicino!

Tu che vivi di rivoli di cielo

tormentato e irrequieto.

Chiederti qualcosa è sempre poco.

Ma parlare con te dell’immenso

forse mi è più caro. E stamani

la mia voglia è quella di ammirarti;

tu, eternamente instabile,

umano e disumano.

Lo sai? Se ti sono lontano,

ti sogno come amico;

ti vedo, alla mia assenza,

come assenza di amore

della donna che amo.

Ma torno sempre eguale, quando torno,

sempre poco,

davanti a te che immenso mi rapini

e porti via il mio seno.

Tu l’accarezzi, lo invogli

a sfiorare l’eterno.

Ma quando scende a terra,

ancora più ne soffre

di questa sua miseria;

se torna a rimirarti,

ancora più ne soffre,

misurando col giorno il tuo cammino.

Ed io ti chiedo,

ti chiedo del mistero,

ti chiedo della vita,

tu che contieni anni

che ancora non parlavano:

di quando la tua nascita?

da quando il mio destino?

A volte mi rispondi

ed io ti ascolto

disposto a fuggir via col tuo salmastro.

Dimmi, quindi, anche stamani,

qualcosa del colore

che ti frantuma a sera,

qualcosa del tramonto,

per te solo bellezza, forse,

per me giorno che fugge.

“I miei pensieri, uomo, sono eguali

a quelli che tu provi quando tenti

di misurarti a Dio. Anch’io

vado da un mondo a un altro senza pace,

né mai tace

la voglia né si appaga

di copularmi al cielo. Solo a sera

mi quieto in esplosioni

di luci e di colori;

arancio le mie guance

e mi sprofondo

in un riposo umano:

sogno inquieto per te,

per me solo riflesso di una luna

nel mio perpetuo moto.”.

 

(Da Dicotomie. The Writer Edizioni. Milano. 2013)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non chiedermi perché

 

 

 

Non chiedermi perché sono venuto

a trovarti di nuovo. Sarà forse

perché qualcosa provo

ancora dentro me.

Sai!, non è molto che pensavo

all’ultimo saluto. Ti ricordi?

Era sul mare, il cielo cinerino

di un settembre un po’ stanco accompagnava

un melanconico addio. Eppure

io non credevo che un lungo patrimonio

potesse rivelarsi così fragile

come la bruma pallida d’autunno.

Il cielo si rompeva ad occidente

e il sole grosso e fervido, alla sera

di quel giorno impossibile, tingeva

il tuo volto diverso. Mi ero sperso.

Non ritrovavo più la strada amica,

la strada di una vita. Sono qui.

Non chiedermi perché. Sono venuto!

Ho ancora dentro l’anima

il sole di una sera,

il mare quasi calmo, un volto stanco,

e una bàttima lenta a misurare

un tempo troppo pigro per chi soffre.

Sarà forse l’amore. Chi lo sa.

Eppure c’è qualcosa che ha guidato

quest’animo rigonfio di ricordi

tra i fiordi del passato. Ma non chiedermi

di più. Accetta un mio saluto. E vado.

Davanti a me c’è un guado,

un guado che riporta

quest’uomo ormai attempato

                                   all’altra sponda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Contro le lune            

 

 

 

Ho sempre fissa, padre, la tua immagine;                       

i nostri sogni, il cielo: prevedere

dure gelate a divorare pane,

piogge future ad annullare semi;

e brezze, e folate affilate

a recidere illusioni mai appagate.

Eppure si aspettava primavera

immaginando anche il suo profumo

nel suono nemico dell’urlo invernale.

È sempre fissa, sì!, la tua visione:                       

tronco scheggiato da lame

forgiate dal tempo;

fronda sfrascata da inverni ribelli;

idea appesantita

da troppe lune piene. Sì!, ti rivedo

ancora qui con me, padre immolato,

a regalarmi odori d’erbe offerte

alle frullane lucide di sole.

 

Sai, padre!

Qui non ci sono più terre feraci

disposte a dare vita

a mèssi generose;                      

fronde feconde

ad ospitare nidi da allevare.

Sulla tue terre crescono le case

abbracciate fra loro

come pietre di cava sopra storie

destinate a finire. Chiedo solo

- al cielo, a qualcuno, non so a chi -

che mi mantenga in seno la tua voce,

che mi mantenga in cuore il tuo sorriso,

il tuo sagrato profumato d’erba,

e la tua voglia, maledetta voglia,

di seminare sogni anche nei giorni

più neri della notte.

                              Contro le lune.

 

  

 

 

 

 

Nazario Pardini è nato ad Arena Metato (PI). Laureatosi prima in Letterature Comparate e successivamente in Storia e Filosofia all’Università di Pisa è inserito in Antologie e in Letterature. Molti e importanti i Premi Letterari vinti, fra cui nella terna Mussapi, Pardini, Baudino, al Premio “Pisa”, 2000; il Premio “Libero De Libero”, Fondi, 2012; il Pemio “Città di Pontremoli”, 2011; il Premio “Pomezia”, 2013. Molti i critici che si sono occupati di lui, fra i più importanti: Ninnj Di Stefano Busà, M. Luzi, G. Luti, V. Vettori, D. Carlesi, G. Linguaglossa, P. Ruffilli, G. Giacalone, L. F. Accrocca, B. Sablone, A.Piromalli, S. Ramat, V. Esposito, Malinconico, E. Rebecchi, A. Nazzaro, A. Spagnuolo, Bàrberi Squarotti, A. La Rocca… È critico e prefatore. È fondatore, curatore, e animatore di “Alla volta di Lèucade” (nazariopardini.blogspot.com), importante blog culturale, punto d’incontro della comunità letteraria nazionale e non solo. Il 9 maggio 2013 gli è stata conferita la Laurea Apollinaris Poetica dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. Ha pubblicato 26 opere fra poesia, narrativa e saggistica.

 

 

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18 giugno 2014 3 18 /06 /giugno /2014 17:11

La diversità da un punto di vista multiculturale.

 

di Miriam Binda

In considerazione al tema della "diversità" mi sembra interessante proporre una breve riflessione sul pluralismo che prende spunto da un libro, molto interessante, scritto da Giovanni Sartori.

Un testo che ha già compiuto qualche anno ma  fa capire molte cose sulla diversità e sul concetto di cultura  differenziata. Il libro, o meglio il saggio,  si intitola: Pluralismo, multipluralismo e estranei: Saggio sulla società multietnica (edito da Rizzoli, saggi italiani).  Giovanni Sartori,  l'autore del libro, come molti sanno  è un politologo italiano tra i più  conosciuti ed accreditati anche a livello internazionale. In questo suo saggio,  egli  esamina  ed approfondisce  il difficile tema dell'integrazione  tra una cultura ospitata e l'altra ospitante e,  fin dalle prime pagine,  il  lettore capisce che  il problema delle differenze  tra  usi  e costumi diversi, stili di vita anche religiosi  non  è  piatto o scontato, come qualcuno vuol fare credere,  anzi tali differenze sono molto "forti" per cui non  è  facile  l'integrazione anche nei paesi democratici  e multi-etnici.   Più le differenze  socio-culturali  sono discrepanti, più  è difficile, secondo il politologo, affrontare  l'acculturazione degli stranieri. Dal punto di vista antropologico  (non quindi, da quello religioso, morale, politico,economico, ecc.) il problema della convivenza multiculturale consiste nell'individuare, su entrambi i suoi versanti, il limite fisiologico di promiscuità tra le diverse  culture, oltre il quale non si dovrebbe andare per non scatenare o fagocitare reazioni  fra i suoi adepti.   Da parte dell'ospite straniero si tratta di sapere fino a che punto,  egli deve e può lasciarsi assimilare dalla diversa cultura ospitante,  per poter interagire al meglio, senza rinunciare ai tratti fondamentali della propria cultura materna (ovviamente nel caso in cui egli intende restarvi fedele).  Di conseguenza, da parte della società ospitante si tratta di riconoscere il limite di compatibilità tra i suoi principi fondanti e i valori di vita perseguiti da chi proviene da un'altra cultura. Se  ogni uomo è figlio della sua società - si può dunque aggiungere - anche la  società è il frutto della sua cultura ma il fatto, oramai verificato, di un continuo flusso migratorio costituito da gente  che si sposta da una nazione e l'altra ha  infranto tali confini e si può quindi affermare  che la società etnica o mono-culturale, è finita.  E' finita per effetto di una metamorfosi che ha trasformato la  società mono-culturale  a  società "aperta" che  per Giovanni  Sartori,  trova il suo limite nella moderna Babele, in cui l'affollarsi di culture differenti rischia di distruggere la stessa  città. Questo particolare lato della questione porta a formulare la seguente domanda: posto che una buona società non deve restare chiusa, quanto aperta può essere davvero una società aperta? S'intende aperta senza autodistruggersi senza esplodere o implodere? Secondo l'analisi di Sartori, la società ospitante  "aperta"  alle differenze culturali  ha   comunque bisogno di un codice genetico  rappresentato dal pluralismo.  [1]

Ma che cosa significa pluralismo? Sartori chiarisce il suo punto di vista, ricorrendo alla forma  più retorica di un altra importante domanda:  In quale misura il pluralismo slarga e diversifica la nozione di comunità? Una comunità può sopravvivere se spezzata in tante sotto-comunità differenti che sono poi, in concreto comunità che arrivano a rifiutare le regole che istituiscono un convivere comunitario?  Queste  domande sul pluralismo e la convivenza civile trova risposta nel pensiero, più volte citato dallo stesso Sartori,  del  Cardinale Biffi di Bologna il quale asserisce che tutti i Governi (Italia compresa) devono stare attenti  a considerare  le diverse culture,  non solo facendo leva su  fattori economici  o politici  in quanto, bisogna soprattutto considerare e tutelare un'identità nazionale.  L' Italia per esempio,   non è  landa deserta o semi abitata è una società con una storia e delle tradizioni vive,  con un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che, per il Cardinale bolognese,  non può e non deve essere  perduto.[2]  Parlando  dell'Italia  per esempio, è possibile dare diritto alla poligamia dei  mussulmani ?  Giovanni Sartori non ha dubbi, le considerazioni del Cardinale Biffi  aprono la riflessione sulla teoria etica  weberiana della responsabilità.  Max Weber distingueva l'etica  della responsabilità (una moralità che mette in conto  le conseguenze delle nostre azioni) in contrasto con l'etica dei principi (nella quale la buona intenzione è tutto. In questo caso il buono ed il cattivo viene ignorato).  L'etica della responsabilità è pilotata da un capire i bisogni e le necessità  mentre, l'etica dei principi è più ottusa perché applica i  principi morali  in una maniera così pura che non vuole vedere  altro da se.  L'etica dei principi quindi per Sartori, si  dimostra irresponsabile perché rifiuta di capire e di vedere determinate situazioni che  richiedono riflessioni molto scrupolose  da caso in caso.  Lo studio sulle diverse culture non può far altro che  fronteggiare eventuali situazioni di insostenibilità  soprattutto quando si celano  pregiudizi anche di tipo razziale.  L'indifferenza, di chi  rifiuta di  vedere questi  problemi  in quanto ritiene che sia giusto convivere  senza "troppo questionare" sulle  differenze di fatto,  impedisce di  affrontare delle scelte  (difficili talvolta) che possono contribuire a migliorare la   convivenza tra i cittadini di diversa cultura.   Per  Giovanni Sartori  è dunque importante, anche sul piano politico,  affrontare  la conoscenza oggettiva delle differenze  al fine di proporre  soluzioni possibili, nel rispetto della diversità  culturale  dei gruppi  stranieri,  compatibilmente alla salvaguardia dei valori  della società ospitante. Infatti conclude Sartori, ogni cultura ha i suoi valori irrinunciabili ma, bisogna anche tenere conto che alcuni   soggetti non si adeguano agli altri modelli, come nel caso degli integralisti musulmani.   A tale proposito, evidenzia il politologo,   la società occidentale non può  rinunciare  alla religione cristiana; può eventualmente  riconoscere la libertà  di culto  ai seguaci di altre confessioni religiose, grazie al fatto che essa riconosce, nella libertà di culto un proprio valore basilare che comunque non deve  stravolgere la nostra libertà.   Per esempio nella  società islamica si accetta  la diversità  assoluta tra un uomo e una donna; addirittura la ribellione della donna musulmana è vista come un oltraggio che la  legge islamica, talvolta punisce  con  pene corporali violente.     Per citare qualche fatto di cronaca, anche in Italia, nel 2011,  Amal una  ragazza marocchina, veniva picchiata dal padre perché voleva frequentare una comunità cattolica,  grazie all'intervento dei carabinieri  oggi la ragazza vive in una comunità protetta.  Oppure chi si dimentica il  caso della giovane diciottenne che abitava in un paese vicino a Pordenone, ammazzata dal padre perché la giovane donna di nazionalità pachistana,  desiderava  sposarsi con un  ragazzo italiano non di fede musulmana?  Inoltre i tanti casi di  infibulazione clandestina  praticati a titolo di purificazione religiosa può essere tollerato,  nel nostro paese?  E' una pratica così incivile e pericolosa  per la salute della donna che è impensabile riconosce l'infibulazione come un  sacramento  religioso da  praticare in Europa o   in Italia.  Una  visione "farisaica" per dirla con Sartori, in nome della tolleranza   non da peso  a  questi casi di violenza,  molti dei quali  non vengono neppure denunciati e quindi non emergono attraverso la cronaca dei giornali, eppure si verificano  e non si può dire che sono casi  normali che fanno parte del  "calderone" di una società  pluralista e multi-etnica.  Ovviamente non c'e' solo il peggio,  le differenze culturali non sono, come nei casi citati sempre violenti e drammatici, per fortuna no, grazie al modello etico  della responsabilità  è possibile cogliere delle differenze per cercare una convivenza pacifica e soprattutto regolata anche dalla legge che tutela  la dignità ed il rispetto reciproco.  Nel saggio di Giovanni Sartori: Pluralismo, multiculturalismo e estranei   si capisce benissimo che la questione non è banale  anzi è una questione complessa che accetta e vuole conoscere  le differenze  senza annullarle;  invece chi non le vuole vedere e da per scontato che al mondo  "siamo tutti uguali"  non fa altro che serrare  la questione come se in questo universo tutto  e tutti  possono  vivere tranquillamente e per loro  volontà,  in una società multietnica ed occidentalizzata. Una visione così semplificata non capisce che tale convivenza ha bisogno della partecipazione continua della popolazione e dell'aiuto  delle istituzioni che in qualche modo devono, con i propri mezzi, cercare anche di  arginare il fenomeno della clandestinità.  A pochi passi dall'Europa ed a ridosso dei nostri  confini territoriali,  infatti  esistano, ancora  oggi,  situazioni completamente diverse e  più arcaiche, d'emergenza per le  guerre  civili e carestie  che causano  flussi  migratori clandestini, difficili da controllare  per tutelare (anche da intenzioni malavitose) le tante  persone in prevalenza giovani uomini, donne e bambini  che  chiedono  "umanamente" di poter  essere accolti  ed ospitati nel nostro  paese che, ai loro occhi  appare ancora ricco di lavoro, bello, moderno e soprattutto civile.

 

 

Miriam Luigia Binda 

/edito  riferimento: guerrAnima 2014

 

 



[1][1] Giovanni Sartori -  Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica pag. 16-17

[2] Giovanni Biffi - la città di San Petronio nel terzo millennio.  Bologna pag. 23-24.

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15 giugno 2014 7 15 /06 /giugno /2014 16:27

Romanzo a sorpresa di Ninnj Di Stefano Busà

("Soltanto una vita" - Kairòs Edizioni)

 

di Franco Campegiani

 

Ninnj Di Stefano Busà - lo sappiamo -  è una delle più accreditate firme della pagina poetica nazionale. Notissima come poetessa ed anche come critico letterario, oggi ci sorprende con questo testo pubblicato dalla Kairòs di Napoli e prefato dall'illustre Prof. Nazario Pardini, affrontando un genere di scrittura per lei nuovo, la narrativa. Una vera e propria curiosità, pertanto. Una primizia, non soltanto per i suoi lettori abituali, ma anche per un pubblico più vasto, maggiormente sensibile verso questo genere di letteratura. "Soltanto una vita" è un romanzo molto particolare, dove lo stile narrativo si arricchisce di una vena poetica sempre fresca e felice, in una scrittura limpida e comunicativa, intrisa di profonde riflessioni filosofiche. Qualunque genere affronti, la penna della Busà ha le medesime caratteristiche: è poetica e filosofica nello stesso tempo.

Chi conosce la sua poesia sa che essa è profondamente pensosa. La sua prosa, viceversa, risulta intrisa di poesia, e ciò contraddice il luogo comune secondo cui il filosofo ed il poeta non sarebbero compatibili tra di loro. Evidentemente c'è un pensiero filosofico che si radica nella poesia (non razionalistico), così come c'è un sentimento poetico radicato nella filosofia (non sentimentalistico). Ma qual'è il tratto veramente innovativo di questa scrittura? Della contemporaneità condivide l'aspetto fondante, e cioè il senso del relativo: il sentimento doloroso del limite proprio di ogni avventura esistenziale; la precarietà e l'angoscia del vivere; la coscienza della consunzione, del logoramento, della fine. Ma tutto ciò in Ninnj si incontra e si scontra con un vivo desiderio dell'incorruttibile e dell'assoluto, dando vita ad una pagina letteraria incandescente, dove ad animarsi è il fantasma della frattura, fantasma che paradossalmente evoca la reciproca appartenenza dei due poli tra di loro.

Ne vengono sfinimenti, sconfitte, ma insieme rinascite interiori, nella consapevolezza di appartenere ad un disegno universale inconoscibile, cui tuttavia ci si affida religiosamente. Una religiosità, direi, di ascendenze keerkegaardiane, dove la separazione del divino dall'umano funge paradossalmente da propellente della fede, nella certezza di un ritorno nel cuore dell'eterno al termine dell'avventura esistenziale. E sono esattamente questi i temi che emergono anche nel romanzo di cui ora ci occupiamo. "Soltanto una vita" è la storia di una famiglia colpita da gravi sventure, ma capace di reagire e di risorgere dalle ferite con rinnovati slanci ed invincibili ardori, facendo ricorso all'amore in tutte le coniugazioni possibili, ma soprattutto puntando lo sguardo verso l'assoluto, che è e resta la vera fonte battesimale di ognuno di noi, come di ogni espressione vivente.

Potrebbe sembrare, questo, un facile ed ingenuo ottimismo per tanti intellettuali à la page, pronti ad arricciare il naso di fronte a tutto ciò che ha sapore di incanto, di innocenza, di purezza, di positività. Si ritengono scaltri e smaliziati, costoro, mentre invece hanno paraocchi che non consentono di vedere come positivo e negativo, incanto e disincanto, non sono altro che facce distinte d'una stessa medaglia. E in fondo hanno pregiudizi simili a quelli dei cosiddetti "incantati", degli imbambolati, seppure di segno contrario. Entrambi separano spocchiosamente il Nero dal Bianco, il Bene dal Male. Al contrario, l'incanto di cui parla la Busà non esclude il disincanto, ma lo include entro i propri confini. E' un incanto che si fa carico del disincanto, una gioia che porta sulle proprie spalle il dolore. E lo fa senza battere ciglio, come risulta fin dalla frase posta ad esergo del libro: "Credere nella vita / vuol dire accettare anche il peso del suo dolore".

Il bianco non esclude il nero, della cui vicinanza ha bisogno proprio per potersene differenziare. Altrettanto il Bene, per crescere, ha bisogno del Male con il quale si deve confrontare. Non lo può eludere, ma se ne deve alimentare. C'è dunque un Male che fa Bene, un Male che contribuisce alla costruzione della coscienza, anziché alla sua distruzione. Intendo dire che gli orizzonti della scrittrice sono di ordine morale, non moralistico. La differenza è fondamentale, perché dove il moralismo divide, la moralità abbraccia tutto con ineffabile amore.  E sono davvero tanti gli spunti che potrebbero essere estrapolati dal libro per convalidare l'assunto.

Mi limito a citare le frasi finali del testo, che trovo particolarmente illuminanti e significative: "Le risorse stanno in noi, basta saperle cogliere, diramarle, veicolarle e trasmetterle ai nostri figli, senza ostentazione o vanità, con efficacia e semplicità, senza tentennamenti... Veniamo al mondo per amarla questa vita, l'unica che abbiamo, non per opporci ad essa o per oltraggiarla, e se talvolta ne veniamo feriti, ebbene si, tiriamo fuori tutto il coraggio, l'ardimento, la forza morale di cui siamo capaci per lottare strenuamente contro il male". Una lotta che è anche un abbraccio, come si può vedere, perché il male vissuto in tal modo finisce per essere mirabilmente costruttivo. E sta qui, direi, l'ulissismo di questa visione della vita.

La cultura contemporanea, approdata da tempo ai temi del Nulla, del Nonsenso e del Vuoto, del Naufragio a senso unico, gronda a mio parere di orfismo ed ha bisogno di incrementare quella fede nei valori positivi il cui depositario è Odisseo. Cosa fa invece Orfeo? Caduto in disgrazia, finisce nella disperazione e nella follia, mentre Ulisse, a dispetto delle sconfitte, è sempre spinto in mare aperto con rinnovati ardori. Egli non è un vincente, ma neppure un perdente. E' vincente e perdente nello stesso tempo. E' un eroe/antieroe. Conosce frustrazioni e naufragi, per cui non ha alcunché di arrogante o presuntuoso. Non è un drago sputafuoco ed è umilissimo nella sua fierezza, tant'è che si fa chiamare Nessuno. E' un Nulla e un Tutto nello stesso tempo, una forza dell'equilibrio, una potenza della Natura.

Credetemi: queste digressioni non sono peregrine, ma fondamentali per mettere a fuoco la weltanschauung della nostra scrittrice. C’è un’esperienza letteraria importante, nel panorama culturale sostanzialmente orfico dei tempi attuali, che in qualche modo raggiunge l’ulissismo e di cui è qui opportuno parlare. Mi riferisco a Giuseppe Ungaretti. Ricordiamo i famosi versi dell’Allegria? “E subito riprende / il viaggio / come /  dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare”? Ebbene la visione del mondo della nostra scrittrice si trova su questo stesso binario, in questa medesima lunghezza d'onda. E' una fede nella vita che cresce e si rafforza con l'esperienza del dolore. E a questo punto è opportuno a mio avviso ricordare un'altro importante percorso letterario ed umano, davvero odissiaco, dei tempi attuali: quello di Alda Merini, di cui non a caso la Di Stefano Busà è stata confidente ed amica.

Questo romanzo, "Soltanto una vita", propaga fin dal titolo le atmosfere di cui stiamo parlando, sospese tra il chiaro e lo scuro, tra l'assoluto e il relativo. Gli attori vivono nella consapevolezza che la loro è soltanto una vita, solo una tessera nell'immenso mosaico della vita universale. E la vivono, questa loro unica vita, dando il meglio di sé, con il massimo impegno, senza sprecarla, ma senza tuttavia sopravvalutarsi, senza illudersi di essere i protagonisti esclusivi della scena. Si impegnano allo spasimo, non sono fatalisti, ma sanno anche affidarsi al flusso provvidenziale, misterioso e intelligente delle cose.

E qui devo chiedervi un surplus di attenzione, perché qui si giuoca, a parer mio, un passaggio particolarmente importante per la cultura del nostro tempo. Siamo nel Postmoderno, dove l'antropocentrismo in ogni sua forma è crollato e l'umanità ha finito per disperdersi dal centro nelle periferie del creato. Ebbene, a me sembra che nella storia che Ninnj descrive, i protagonisti facciano un percorso alternativo, sperimentando un'altra e diversa centralità: la centralità di se stessi. Così l'uomo, non più al centro dell'universo, qui è posto, o si pone, al centro di se stesso. E' un Tutto e un Nulla: umiltà e fierezza fuse in un solo respiro. E la sua è soltanto una vita nel pullulare sconfinato di vite di cui si popola l'universo.

E dire che i protagonisti sono personaggi molto potenti! Appartengono all'alta società: sono direttori di banca, ingegneri petroliferi, manager, e tuttavia non insuperbiscono. Il che è straordinario. Nell'immaginario collettivo, lo sappiamo, questo ceto sociale naviga negli ori e nei privilegi, nelle feste e nei lussi sfrenati, per non dire dell'affarismo spericolato. Qui si fa portatore, invece, di impegno etico, di morigeratezza, di affetti limpidi, di valori morali. E tutto senza cedimenti retorici: una rivoluzione!

Ricordiamo il detto evangelico? "E' più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel Regno dei Cieli"? Questo romanzo sembrerebbe smentire l'assunto, ma in realtà lo conferma, in quanto il motto suddetto evidenzia la difficoltà per i potenti, non l'impossibilità, di vivere con sentimenti di rispetto e di altruismo, di fraternità e di amore (difficoltà, d'altro canto, comune agli uomini e alle donne di qualunque ceto e posizione sociale). "Soltanto una vita" è il racconto edificante dei buoni sentimenti e dei valori positivi. Il tutto sudato e pianto. Non regalato, ma conquistato al prezzo di dure battaglie.

Il romanzo si apre con una descrizione paesistica stupefacente. Siamo nella Tierra del Fuego, all'estremità meridionale del continente americano, tra lo stretto di Magellano e Capo Hoorn. Un'alba rosata si dipinge sull'ampia baia dopo l'orribile nubifragio notturno. Da un lato le colline solenni, dall'altro l'oceano atlantico che "si apre come una valva sul fondale lussureggiante di un'immensa esplosione di luce". Un vero e proprio rapimento estatico di fronte alla bellezza selvaggia di una natura incontaminata, crudele e dolcissima nello stesso tempo. E' lo scenario adatto per porre il lettore nella condizione psicologica idonea ad entrare nelle pieghe del romanzo, tutto giuocato, come abbiamo visto, sulla compenetrazione armonica del positivo con il negativo, dell'ordine con il caos. C'è un parallelismo calzante tra le vicissitudini violente, ma rigeneranti, del creato e gli eventi dolorosi, ma corroboranti, dell'esistenza umana.

Nazario Pardini, in prefazione, parla di "un grande mélange di cospirazioni naturistiche, di panorami mozzafiato, di forze evocative, di scavi psicologici e di intrighi che mai si allontanano da una verità, specchio dei nostri giorni". Realismo, dunque. Un realismo vitalistico, energetico, diverso da quelle scuole del realismo che indulgono al pessimismo, al disincanto, al trionfo dello squallore e del Nero. Ascoltate questa descrizione: "Sulla sabbia sono ancora evidenti i segni lasciati dalle raffiche di vento; disseminata di oggetti dei più disparati, la spiaggia appare come uno scenario infernale; sparsi un po' ovunque, in modo disordinato e violento, vi sono i segni di una lotta all'ultimo sangue, con quegli elementi che la natura ha scaraventato in aria e ammassato alla rinfusa". E' da questa violenza che la natura si rigenera, dando origine a nuove aspettative e a nuovi cicli vitali.

La stessa cosa accade negli eventi degli uomini, dove il lieto fine non è scontato, ma può anche esserci, come in questo caso, ed è il frutto di un impegno strenuo e costante, di una fede non astratta ma vissuta sulla propria pelle, andando molto oltre la ragionevolezza umana. Tra Julie Lopez e George Martinez, dopo molte sofferenze, scocca le sue frecce Cupido. E la Busà registra il suono festoso delle campane del cuore in pagine ricche di estraniante fascinazione: "Tutto ora sembra presagire un lieto fine: sentono di possedere l'apertura alare delle aquile che sorvolano il cielo privo di nubi, una pacificazione interiore che rinforza gli argini e inibisce i malumori, concilia con il mondo intero, che pare ovattato, quasi insonorizzato, per loro, che hanno attraversato lo Stige a piedi, lacerandosi l'anima, e ne riportano ancora le ferite, le escoriazioni, le abrasioni".

Ed è stupenda, successivamente, la descrizione di Julie, dopo aver superato la prova di un triste aborto: "Hanno strani riflessi quegli occhi! Contornati da pagliuzze dorate, hanno lo scintillio incomparabile di una riverberazione dal profondo. Parlano il linguaggio del cuore, la lunga discesa negli Inferi, la risalita lenta e faticosa di chi ha tanto sofferto e amato". I due protagonisti, successivamente, avranno figli e nipoti, tanto che la trama sembra assumere l'andamento di una saga. Una saga il cui mito centrale è l'amore: l'amore sofferto e non sdolcinato, l'amore che è sempre un dolce intriso di amaro. Perché bisogna costruirlo l'amore, e non aspettarlo da altri, bisogna crederci fino in fondo, farselo crescere dentro e poi donarlo.

Scrive la Busà: "L'amore vero ci vive dentro, mai nei paraggi, né di sghembo o nelle vicinanze"; "L'amore s'impara: giorno per giorno, momento per momento, nulla è dato per scontato". E le pagine più belle sono a mio parere quelle che nascono osservando una gestante, una donna, pensate, che si spezza come il pane per donare la vita ad un altro essere. Ci sono riflessioni formidabili, come questa: "Mettere al mondo una creatura è... mettersi in contatto con l'eternità... L'antinomia fondamentale dell'amore risiede nella frenesia del mordi e fuggi, nel dilatare il significato esteriore a sfavore di quello interiore". E non è, questa, non vuole essere, una teoria sull'amore, ma il puro e semplice maturato di conoscenze di vita fatte da una neo-mamma, da una puerpera che parla e sussurra a se stessa: "Viviamolo l'amore! Non abbiamo molte vite, ce ne resta solo una, ed è molto breve!". Soltanto una vita, appunto.

 

 

                                                                     Franco Campegiani

 

 

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2 giugno 2014 1 02 /06 /giugno /2014 20:58

 

Il declino di oggi inevitabilmente porta a riflessioni ponderose sulla nuova evangelizzazione del mondo.

Il Nuovo cristianesimo va ormai a rifondersi nella Globalizzazione e nel caos  

                                                  

di Ninnj Di Stefano Busà

L’esperienza spirituale che in altri momenti storici si è mostrata in tutta la sua ampiezza culturale, oggi si mostra isterilita e stanca, asfittica e insicura sui sentieri inagibili di una globalizzazione che muove forme sempre più complesse e articolate verso l’effimero e il vuoto di pensiero. Siamo giunti – al canto del cigno-

Ormai poco distanti da un declino irreparabile, che la dice lunga sul percorso della specie umana e sui suoi equilibri che si delineano sempre più aggressivi, perentori, inaffidabili.

La premessa di una revisione, seppure parziale dello Spirito, si manifesta in ogni tempo come capacità di liberare la propria riflessione e, di conseguenza, si muove alla ricerca umana di un sentiero poco agibile quale può essere la nuova evangelizzazione nel Concetto di Dio. L’esperienza che ci offre la spiritualità quando viene sollecitata dal nostro fervore d’indagine è sempre una liberazione dalle scorie e dai veleni della seduzione vanitosa, che compromette l’anima e ne fa episodio a sé, senza retropensiero, senza spirito di osservazione, senza verità e bellezza.

Non dovremmo mai seppellire la ns. risorsa spirituale, sotto cataste di detriti che ci piovono dal mondo, per non trovarci soli e demotivati dinanzi ad una morte che ci rapisce: il Fuoco deve ardere sempre, senza divenire fiammella fatua, né ancor peggio, cenere fumante e poi gelida. Non demoliamo i basamenti della fede e della morale, se non vogliamo che essi ci piovano addosso con sufficiente forza da schiantarci, non riduciamo l’apertura alare che ci trasferisce in territori meno abbietti, sorvolando tempeste e diluvi, per ritrovarci in territori aridi e compromessi: interpretiamo l’ardore che ci origina dalla fede, come il più altro valore cristiano.

Forse la crisi di secolizzazione che stiamo attraversando in questo periodo storico è la crisi della ns. coscienza, il calvario delle ns. colpe, del ns. peccato originale che ci orienta ad essere ottusi e intransigenti con la voce dell’OLTRE. Nel sentirci defraudati e incompresi per illeicità dovute alla carenza umana di “umanità” ci allontaniamo da quella fiamma che invece di rinvigorire, da grandi detrattori di noi stessi, giorno per giorno spegniamo.

È necessario riallacciarsi alla potenza CONOSCITIVA del Vangelo, alle regole che furono dei padri fondatori: Benedetto XVI ce ne da continuamente segnali, attraverso la luce potente della sua parola: vi è troppa confusione, troppo spreco di energie che potremmo dirigere a noi stessi, per essere migliori, interrogarci più spesso e allontanarci dal pressapochismo e dal nichilismo di un secolo che non dà nulla in termini di Bellezza spirituale. La cultura dominante è devastata da una forza che abbrutisce e ingenera sempre più nelle coscienze il riduttivismo e il frammentarismo.

Il mondo sta soffrendo la mancanza dal suo Dio, il mondo si è fatto misero e cieco, ha discreditato le sue migliori risorse per compiacersi e crogiolarsi nelle fandonie e delle imposture di una secolarizzazione nefasta, fortemente impregnata di falso moralismo e di false idolatrie. Il mondo laicista sembra consegnarsi ormai quasi unanimemente, e senza più alcuna resistenza morale, ai dettami della tecnocrazia e del mercato, ad una politica becera e distruttiva, ad un materialismo disperato cioè, privo perfino di quelle speranze illusorie in un’emancipazione finale a tutto vantaggio dell’uomo, che annaspa, non riesce a prendere fiato, e sembra non avere scampo di sopravvivere ad uno sbiadito e torbido e quasi sempre insanguinato futuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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27 maggio 2014 2 27 /05 /maggio /2014 18:41

di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

 

INGREDIENTI x4 persone: 50 gr. di riso Arborio o Carnaroli, mezzo litro di latte, 80 gr. di zucchero, scorza di limone grattugiata, 1 bustina di zucchero vanigliato, 1pizzico di sale, 2 fogli di gelatina, 1 cucchiaio di uva sultanina, 2 cucchiai di liquore Grand Marnier, 80 gr. panna montata,80 gr. di ricotta fresca. Per la salsina da decorare: 4 cucchiai di lamponi o fragole frullate 1 cucchiaio di miele, 1 cucchiaio di noci tritate.

 

Ponete il riso in ammollo in acqua fredda per mezz'ora. In un altro tegame fare scaldare il latte, lo zucchero vanigliato, la scorza di limone e il sale. Far cuocere il riso a fuoco lento per 30 mnuti nel latte, finchè risulta spappolato. Controllate se manca il latte, se necessario, aggiungere una piccola dose. Non fare mai attaccare al fondo. Sciogliere in acqua fredda la gelatina, sgocciolarla bene e incorporarla al riso, deve risultare un composto cremoso. Riporre in frigo il tempo di raffreddarlo un po'. Aggiungete l'uva sultanina, il liquore e la ricotta sbattuta con il miele, la panna montata. Mescolate tutto delicatamente. Versate immediatamente nelle coppette singole leggermente inumidite e tenetele in frigo due ore. Al momento di servire, capovolgere ogni porzione sul piatto individuale, disporre tutt'intorno le fragole o i lamponi tagliati a metà, decorate con le noci tritate e cospargete un filo di miele per decorare.

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