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9 novembre 2011 3 09 /11 /novembre /2011 09:47

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Una serata di cultura universale nel segno dell'Ecuador
Una serata dedicata alla cultura, alla cultura universale, quella che si è svolta sabato 29 ottobre a Milano, al Centro Congressi della Provincia e organizzato dal Consolato generale dell'Ecuador e dal Centro Ecuadoriano di Arte e Cultura.
 
 
 
Dedicata alla premiazione dei poeti e scrittori che hanno preso parte alla prima edizione del Premio Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa "L'integrazione Culturale per un Mondo Migliore".

Un evento culturale che ha raccolto subito un enorme successo, come ha dichiarato il presidente del Premio, Guaman Allende: "Sono arrivate moltissime opere e il lavoro di selezione e scelta è stato davvero difficile per la bonta' di tutti i componimenti inviati, da tutta Italia, dai moltissimi autori". La serata è stata magistralmente condotta dalla regista e attrice Laura Moruzzi, che con la sua presenza scenica e la sua verve, ha scandito i tempi di questo incontro dedicato alla poesia e alla narrativa.

Dopo l'ascolto dei due inni nazionali, quello ecuadoriano e quello italiano, sul palco del Centro Congressi è salita la 'padrona di casa', il Console Generale dell'Ecuador a Milano, dottoressa Narcisa Soria Valencia, che, dopo il saluto ai presenti, ha sottolineato come questo premio rappresenti un momento importante e fondamentale nella ricerca dell'unione tra i popoli e come la cultura, appunto universale, rappresenti un linguaggio potente e determinante nel percorso di integrazione.

Aspetto molto importante anche il messaggio giunto al Console da parte del Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, che ha ringraziato l'istituzione del paese latinoamericano per aver promosso un concorso che ha coinvolto non solo i cittadini ecuadoriani, ma soprattutto quelli italiani, confermandosi il primo tra i consolati di paesi esteri in Italia a presentare un evento simile. E proprio gli autori italiani sono stati tra i più presenti nella graduatoria finale di questo concorso letterario, la cui prossima edizione è prevista nella primavera del 2012 e che, senza dubbio, godrà di un'ancora più vasta partecipazione.

I vincitori del primo premio, oltre ad un trofeo o targa simbolica, hanno avuto anche premio in denaro raccolto grazie alla presenza degli sponsor, rappresentati da aziende ecuadoriane che hanno fatto impresa in Italia, a dimostrazione piena del significato di integrazione e partecipazione sociale della comunità andina in Italia. Molti premi e le targhe consegnate, oltre a diversi attestati per moltissimi partecipanti che, anche se non vincenti, hanno avuto una particolare menzione per le opere presentate.

Un premio che è stato un successo, un successo che porta 'la firma' sia del Consolato ecuadoriano e della dottoressa Soris Valencia in primis, sia del C.E.A.C., Centro Ecuadoriano di Arte e Cultura, presentato nel marzo 2011 e che si occupa di coinvolgere i giovani in attività artistiche di vario genere e che, nella sezione Letteratura, vede il grandissimo lavoro di Guaman Allende, da anni impegnato in questa attività di promozione della cultura ecuadoriana e non solo. Allende, scrittore e poeta, ha coinvolto, per questo evento, moltissime persone di rilievo del campo letterario, come la presidente della giuria, Ninnj di Stefano Busà, giornalista, scrittrice e poetessa di fama nazionale ed internazionale, Alessandro Quasimodo, Arturo Schwarz, Donatella Biasutti, Maurizio Cucchi e tantissimi altri esponenti della cultura a livello nazionale.

In un momento nel quale la cultura viene messa in discussione da una società e da una politica a volte cieca, eventi come questo danno un segnale importante, anche perchè giunge dalla responsabilità civica di cittadini immigrati, che dimostrano come si possa vivere in una società diversa da quella di origine e di poterne fare parte in ogni settore della vita, anche in quello più universale di tutti come la cultura e la letteratura ovvero l'espressione più intima dei propri sentimenti.

Nel corso della serata si è potuta apprezzare l'esibizione dei ragazzi che seguono i corsi di canto corale e un gruppo di ballerine di danze folcloriche, oltre alla presenza dei partecipanti ai corsi di danza classica e moderna e dei laboratori di pittura. Attività varie e multidisciplinari che si svolgono grazie al lavoro volontario e appassionato degli insegnanti che fanno parte del Centro Ecuadoriano di Arte e Cultura, che oltre ad affermare il forte legame con la tradizioni del proprio paese, promuove la totale integrazione tra le culture per lo sviluppo di un mondo migliore. Un obbiettivo che non può che essere da tutti condiviso.
Fonte: expolatinos.com - novembre 2, 2011
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5 ottobre 2011 3 05 /10 /ottobre /2011 09:50

POESIA, COME DIRE L'ALBERO DELLA VITA

 

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Parlare di Poesia può apparire pleonastico, un modo di tritare "aria fritta":

Ai distratti, orgogliosi, insufficienti che detengono il primato dell'inattivitè intellettuale è sempre apparsa una falsificazione della realtà: il loro pragmatismo è d'obbligo dinanzi al suo mistero.

Anzi vi appare addirittura inutile, vacua, un processo riconducibile all'astratto, un discorso fatto "coi piedi nel ghiaccio", una abulia di connotazioni e di parole che non hanno corrispettivi con la realtà, ora precoci, ora tardivi della propria interiorità, un dialogare con la luna, qualcosa di mezzo tra la follia e la saggezza.

A tutti sia chiara una cosa. se esiste, (come esiste), nel fondo di un pensiero e di un'anima non bene identificati, vuol dire che è lo spirito dell'uomo, il respiro della sua anima, l'ossigeno del mondo.

Noi ci accontentiamo di saperlo ALITO D'ETERNO, o come l'albero della vita che dà i suoi frutti migliori al mondo intellettuale, a quella parte del pensiero in ombra, riflettente e sacro, sì, perché la poesia è sacra: sviluppa l'intuizione e promuove le migliori energie per una crescita del mondo, per migliorarlo spiritualmente, arricchendolo di quelle energie positive che permanendo come materia inerte farebbero regredire l'uomo allo stadio di primate, se non intervenisse la "parola" a darle il soffio vitale, la vita.

Un presupposto azzardato è quello di identificarla col "nulla", assoggettarla alle mode effimere, al contagio abominevole dell'idigenza dei sentimenti e ancor peggio relegarla al ruolo di inutilità che le si vuole affibbiare a tutti i costi.

Niente è più sbagliato, anche il pensiero montaliano la intuisce come tale, per aggiungere subito dopo che è qualcosa di inutile di cui non si può fare a meno. Allora, niente vi può essere di peggio che l'abbandono o la stasi del pensiero e nella fattispecie l'abbandono delle immagini provenienti dalla consapevolezza del proprio "essere(ci)" senza storia, alieni dalla forza maieutica che puà inverare la vicenda umana.

La parola poetica pronunciata, tradotta e scritta oltre alla sua necessità può apparire ripetitiva, eccedente alla fisionomia comune del linguaggio, infrastrutturata da una logica tendenzialmente volta a esasperare il "poiein" ovvero, la facoltà dell'intelletto a creare, a fare.

Ma proviamo a riflettere...si starebbe davvero meglio senza la Poesia?

Essa come tutte le trascendenze ci giunge da molto lontano, non riusciamo a capire da dove, da Chi, ma si fa sentire, esulta o sta silenziosa, languente a volte in molti che vorrebbero esprimerla liberando fuori gli effetti venefici del vivere. Ma la poesia non reclama attenzione, non pretende ascolti, non predilige platee, essa giunge in sordina, nel fitto silenzio, spesso nel cuore della notte, il poeta la sente più vicina, la scrive, se ne nutre come di un dono eccelso. Perché bistrattarla, umiliarla, considerarla sottotono? Non è difettiva di valori, ma è semmai un valore aggiuntivo, è legata al suono della nostra armonia interiore, è nota alta di una tastiera che diventa orchestrazione connessa col mondo, con le sua scelleratezza o saggezza, con i suoi quotidiani dubbi, le speranze, le fitte dolorose, le assenze e le indigenze del cuore.

Dove respira la poesia non è desolazione, illumina tutto, oltre il buio perenne delle nostre risorse fisico-temporali, delle nostre ombre dei nostri singhiozzi.

E' lo spino nero che fiorisce lungo le dorsali della vita, in una vastità di terreni tutti infertili, dove passa la morte a fecondarli. Il mondo se non vi fosse la Poesia sarebbe più misero, più demotivato e ancora più solo e infelice.

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26 luglio 2011 2 26 /07 /luglio /2011 12:23

Una kermesse editoriale di grande successo si è tenuta a Pescara nei gg dal 15 al 23 luglio, che ha visto una bella carrellata da Editori e di Autori di tutto rispetto. E' stata ospite tributandole il dovuto riconoscimento la grande poetessa Maia Luisa Spaziani, ma anche Elena Clementelli, Màrcia Theophilo, Ninnj Di Stefano Busà, Dante Maffìa, Daniela Quiete, Anna Maria Giancarli, Nina Maroccolo, tanto per fare alcuni nomi d'impatto.

All'inaugurazione della rassegna hanno aderito con la loro presenza, le personalità più in vista delle Istituzioni e della  Cultura d'Abruzzo: Dr. Vincenzo D'antuono (Prefetto di Pescara), Luigi de Fanis (Assessore alla Cultura Regione Abruzzo), Luigi Albore Mascia (Sindaco di Pescara)) Giordano Bruno Guerra (scrittore e curatore d'immagine della Citta di Pescara), Guerino Testa (Presidente della Provincia di Pescara). Tra gli Ospiti d'onore il regista Enzo Castellari e il Critico Walter Mauro.

L'organizzazione si è avvalsa di una voce tra le più rappresentative del diorama editoriale d'Abruzzo, nonchè Presidente di Tracce e di tutta l'Associazione degli Editori Abruzzesi: l'infaticabile Nicoletta Di Gregorio  che ha avuto per tutti una calorosa accoglienza, ma soprattutto una professionalità che nulla ha da invidiare alle grandi organizzazioni più riconosciute e apprezzate come la Fiera del Libro di Torino. Ora anche l'Abruzzo può vantare un ripristino culturale d'ampio respiro nel dopoterremoto. Lo sforzo si deve anche alla grande capacità intellettuale di comprendere il momento storico e proiettarlo nel futuro a favore delle Genti d'Abruzzo, così duramente provate dal terremoto e con ferite ancora aperte da colmare con la volontà e la tenacia che solo le Istituzione (se voglioso) possono realizzare. Un grazie va tributato all'Assessore Fabrizio Rapposelli che si è attivato in favore dell'iniziativa. Grande l'affluenza del pubblico, molte le Case Editrici rappresentate e apprezzate. Un grazie doveroso mi sento di rivolgere alle Autorità, alle Istituzioni e all'impegno di tanti rappresentanti della Politica locale, i quali, malgrado la crisi hanno mostrato l'intenzione di un riequilibrio culturale e umano nel riassetto del tessuto sociale compromesso. Con l'augurio di altre manifestazioni e iniziative degne della massima considerazione il mio personale ringraziamento e un "ad majora". Grata dell'ospitalità tributatami e di avermi inserita tra gli Autori prescelti.

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19 giugno 2011 7 19 /06 /giugno /2011 13:31

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Non è solo del Sud d'Italia il numero chiuso che mette in vetrina autori già storicizzati con elementi nuovi o esordienti. Una pletora di poeti che hanno dalla loro una storia letteraria e un curriculum di tutto rispetto vi è inclusa, (certo), ma proprio a voler dimostrare un ricambio generazionale, una svolta, un tentativo di dare una collocazione a scelte meritorie che vogliono impostare un vaglio storico, una verifica di fine secolo. Da molto, troppo tempo non viene redatta una mappa da parte dei critici ufficiali, i quali non si vogliono prendere la briga di prununciamenti e collocamenti. Invece è ora di un rendicontare, di allungare l'occhio su probabili novità, puntare su autori emergenti.  Antonio Spagnuolo è il promotore di questo volume antologico:FRAMMENTI IMPREVISTI e fa, com'è ovvio, scelte oculate nell'assemblare gli autori inclusi, avvertendo che vi è una linea di fondo a voler mostrare l'intenzione delle scelte e a motivarle anche per quel tanto che di novità e di particolarità essi mostrano. Tra gli autori storicizzati spiccano: Gabriela Fantato, Franco Manescalchi, Renato Minore, Raffaele Perrotta, Umberto Piersanti, Ninnj Di Stefano Busà, Ugo Piscopo, Santino Spartà, Fausta Squatriti, Liliana Ugolini, Ciro Vitiello, Giuseppe Vetromile e altri. Ma non sono da sottovalutare autori più recenti, più incisivi e vicini alla linea di un revisionismo lessicale da cui s'intravedono orizzonti predefiniti improntati all'impegno di questa disciplina. Uno sguardo d'insieme fa di questa antologia, un prezioso spartiacque in una sorta di isola che include una buona qualità del prodotto poetico, e con la poesia instaura un rapporto di continuità storica e le tendenze di ognuno.

E' chiaro che questa antologia non vuole essere una linea di demarcazione tra il Nord e il Sud, perché come è ben visibile vi fanno parte anche esponenti della linea lombarda e di altre regioni d'Italia: da Nord a Sud si osa (era tempo!) e mi auguro che lo seguano anche altri più grandi Editori,  allungare lo sguardo sul rendiconto dei poeti di oggi, mettendo bene in vista due grandi elementi, soprattutto la tendenza a diversificare le traiettorie usando linguaggi assolutamente individuali, la qual cosa, infine, solleciti e metta in essere la necessità di giungere ad una storicizzazione della mappa lirica contemporanea, e, in quanto tale, la mappa deve contenere un vasto repertorio, e comprendere le dinamiche del coro,  tenendo insieme diverse espressioni che determinano la situazione  del sistema poetico dell'Italia di oggi.

In tutti gli autori vige la compiutezza del linguaggio, e pone in essere la forma, da cui si scorge, (se si affina l'udito) una sorta di variante che apparterrà ad una composizione ideale che colleghi tempi e luoghi per mappare <la poesia>.

Questo è l'intento di Spagnuolo: proporre al lettore la qualità e l'impegno necessari a parziale copertura di un linguismo contemporaneo che nel diversificare le varianti le inglobi e le rappresenti in un'unica grande pagina necessaria ai fini di una transizione e di una sua naturale proiezione.

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12 giugno 2011 7 12 /06 /giugno /2011 13:59

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Sin dai primordi della vita, l'uomo (creato da Dio, a Sua immagine e somiglianza) si è fatto male da solo, ha impersonato il male, ha contribuito a diffonderlo, in maniera perversa, in contraddizione proprio a quelle regole fondamentali che i Dieci Comandamenti esplicitano chiaramente.

In deroga ad ogni principio di moralità ed etica, ad ogni regola esistenziale serena e senza ombre, egli (uomo) ha creato le sue zone d'ombra, i suoi profondi abissi e vi si è immerso.

Il male, dunque, per molti secoli, (ma ancor prima tra i cavernicoli delle ere preistoriche), è stato la sua conquista, il suo territorio di attrazione, il suo empireo, ma anche la sua autodemolizione.

L'Ego profondo dell'uomo si è crogiolato nel Male, lo ha nutrito, alimentato col fuoco dell'intemperanza, dell'oppressione; ne riportiaqmo quotidianamente gli echi, ne subiamo le angherie, i soprusi, le contraddizioni, i conflitti, le guerre fratricide, il potere vessatorio e infamante delle dittature sanguinarie, ne verifichiamo i processi storici, le nemesi, le intrusioni vigliacche della specie umana, ne puliamo il sangue dalle strade lastricate di martiri dei vari regimi.

Ormai quasi abituati, quasi vaccinati al Male, che è divenuto una nostra appendice, l'appendice dell'uomo malvagio che non demorde dall'arrecarsi maleficio da solo e dal farne ai suoi simili.

Ci domandiamo spesso perché quest'uomo tanto avvelenato dall'odio e dal malessere non riesca a redimersi, a superare quel muro di disagio, di sopraffazione, di egoismo, che lo porta a superare se stesso in fatto di millanterie, di acredine, di miscredenza, di disfattismo, d'insubordinazione, di oltraggio. Perché? Perché tanto odio nel mondo, tanto male nel genere umano? e ci chiediamo anche, se per caso, questo stesso male non sia voluto da Dio, (idea blasfema, ma che si addice ad essere scrutata, valutata, indagata, proprio in virtù di una concezione cristiana di catarsi, di purificazione e di resurrezione. Ma non ci è dato capire, discernere, dare risposte adeguate a questo mistero/misfatto, quale sia la ragione che trascenda un tale comportamento reiterato e insubordinato da parte dell'uomo nei confronti del Bene, della Luce, del <buono> che, malgrado tutto, alberga in lui, sotto sotto. Anche nei più efferati uomini-lupi vi è un fondo di bontà (si dice); ma ai tempi che corrono, questa bontà assolutamente latitante e spesso indivisibile dal cattivo funzionamento dell'intelligenza, dà la sensazione che sia una situazione "pelosa" ovvero sia  apparente e spesso lontana dalla vera, autentica grazia del Bene, dalla Bellezza pura e senza infingimenti della grandezza spirituale.

Vi è diffusa una sorta di tolleranza sui generis verso i clandestini, i cosiddetti diversi, gl'indesiderati e indesiderabili, ma credo che a ben guardare, tra le pieghe vi è solo razzismo, odio e rancore verso quelli che si ritengono invasori: i diseredati, i miseri, i profughi, i disperati, gli esclusi da ogni società, da ogni appartenenza civile. In India vengono chiamati " i senza volto" ovvero quella sorta di massa liquida, senza importanza, quali sono gli afflitti, gli esclusi di tutto il mondo, i malnutriti, i disperados. Ebbene, la sottoscritta si è fatta una convinzione: più l'uomo progredisce più diventa insubordinato ai valori evangelici, più si allontana da questi significati e più cresce in lui, la smania di autodefinirsi, di candidarsi al pai con Dio, o di essere egli stesso Dio, sostituirsi nell'imperio del mondo, proprio con l'inganno, la prepotenza, l'arbitrio, e anzi in virtà di essi, sottrarsi al castigo della legge divina che fa da freno inibitore. Del resto il "libero arbitrio" pare consentire a questa sottospecie d'uomo ogni azione perversa, consente di essere contagiato dalla smania di Onnipotenza citrulla, che se da un lato lo rende abile a fare di lui il manifesto della miseria e dell'orgoglio, in realtà, lo fa solo con la sua morte naturale, col suo declino spirituale e il suo nichilismo. L'uomo in genere è incapace di competere in fatto di grandezza, lo è in fatto di miseria morale e nefandezze, lo è per tutte quelle forme illecite di millanterismo egocentrico e nichilista che lo portano alla morte spirituale più degradante e delittuosa, fuori dai più alti significati cristiani e umani.

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7 giugno 2011 2 07 /06 /giugno /2011 09:32


La “luce” di Ninnj Di Stefano Busà

Roberta Degl’Innocenti
Firenze, 16 marzo 2011

Mercoledì 16 marzo 2011, presso l’Auditorium della Cassa di Risparmio di Firenze in Via Folco Portinari n. 5, si svolto l’incontro del mese di marzo che prevedeva la presentazione del libro di poesie Quella luce che tocca il mondo di Ninnj Di Stefano Busà.

Relazioni critiche, per questo importante evento, di Lia Bronzi, Presidente della Camerata dei Poeti, Duccia Camiciotti, Vice Presidente e Carmelo Consoli, Segretario. Letture dell’attore Andrea Pericoli.

La poetessa Ninnj Di Stefano Busà e Lia Bronzi, Presidente della Camerata dei Poeti.

Un breve cenno biografico su l’Autrice:

Ninnj Di Stefano Busà, poeta, critico, giornalista, saggista è una delle figure più rappresentative del panorama letterario femminile di oggi. Si occupa di Estetica e Storia della Letteratura Italiana. Ha tenuto per molti anni corsi di Poetica presso l’Università Terza di Milano. Ha pubblicato diciotto libri di poesie, altri di critica letteraria e saggistica. Ha conseguito numerosi e prestigiosi premi dell’agone contemporaneo nazionale. Le sono stati assegnati riconoscimenti alla Cultura ed è stata storicizzata nella Grande Enciclopedia Letteraria in 8 volumi per i Licei e le Scuole Superiori dell’Editore Simone. Recentemente, per i suoi meriti culturali e per aver diffuso la Poesia nel mondo (Brasile, Argentina, Stati Uniti, Europa, eccetera), è stata insignita del Premio alla Cultura assegnatole dall’Amministrazione del Comune di origine: Partanna (Trapani).

All’inizio della serata, come d’uso negli incontri mensili, vengono chiamati a leggere uno o due poeti con un loro testo. Nel pomeriggio dedicato a Ninnj Di Stefano Busà sono state lette due poesie da Martina Donati e Lenio Vallati, rispettivamente dai titoli Parola sei ed Essere vento.

Nel corso del pomeriggio era stata allestita l’esposizione di tre ritratti, dipinti da Mara Faggioli, anche poetessa e scultrice.

da sx: Andrea Pericoli, Lia Bronzi, Ninnj Di Stefano Busà e Mara Faggioli.

Lia Bronzi ha esposto un ritratto molto bello e significativo di Giuseppe Garibaldi, in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia. Di seguito la storia del ritratto:

Il ritratto di Garibaldi, realizzato con nome e cognome dei componenti “L’Association d’Ancienns Volontaires et Resistants Garibaldiens”, dall’artista Matt, come da firma, riporta tra gli altri il nome di Palmiro Togliatti, Mario Romagnani, aretino, con la moglie Madaleine Bernard (decorata con la Commenda della Repubblica Francese), Donati Luciano e Tullio, Anita Garibaldi, Cavallini Angela e Lina, Mario Angeloni, Carlo Rosselli, e molti altri ancora, notissimi e meno noti. Tale ritratto è stato donato a Lia Bronzi da Madaleine Bernard, da parte della prestigiosa associazione, per meriti acquisiti culturalmente.

Il ritratto di Giuseppe Garibaldi.

Roberta Degl'Innocenti mentre legge una poesia dal libro.

Lia Bronzi, Presidente della Camerata dei Poeti, si è poi espressa per prima sull’opera di Ninnj Di Stefano Busà: …(…)… Martin Heidegger si chiede nei suoi “Sentieri interrotti”: “A cosa servono i poeti?” e rispondendo ad Hölderlin dice che con la poesia si rompe il silenzio dell’essere, per cui, in tal senso, il poeta ha qualcosa del profeta biblico, poiché, come Mosè brucia il suo rovo ardente senza mai consumarsi in quanto ispirato dallo spirito divino. Così ci appare Ninnj Di Stefano Busà, nella raccolta Quella luce che tocca il mondo, poiché essa nasce da una genuina tensione interiore che si esplica catarticamente in poesia, sia per forma che per contenuti. L’autrice infatti possiede, come in altre opere del resto, un andamento sapienziale ed elegante assieme ad un sentimento commosso e trattenuto che va ad intrecciarsi con un percorso spirituale ed una voluta ricerca esistenziale atte a realizzare un’opera di elevato spessore poetico. Non manca nella raccolta un malinconico e gioioso ritorno al passato colto nel profumo inconfondibile della terra delle proprie origini del suo esprit della sua rigogliosa natura. Alludo ad espressioni come: “…. agosto incendiava gelsi e more…” oppure come “…respiro lento di fiumi a segnare tratturi….” ed anche quando i riferimenti paesistici sono rivolti a località più nordiche, è uguale il modo sensibile di avvertire la natura, quasi carnale a tratti. Tuttavia ciò che si avverte di più nella raccolta è la dimensione profondamente religiosa, al di là e al di sopra delle iperboli emotive. Malgrado ciò i versi fluiscono sempre e comunque nella dimensione lirica che si effonde nella parola, fino ad essere linguaggio di Dio, con il quale si vuol celebrare la giustizia, la bontà e la gloria. Ed è così che fra aspettazioni e presenze, ansia di spazi altri che si confrontano spesso con le strettoie della realtà, in cadenze ed assonanze di preziosi accostamenti di parole, che fluiscono versi che catturano veramente “Quella luce che tocca il mondo”.

Dopo le parole di Lia Bronzi è stata chiamata a leggere alcune poesie Roberta Degl’Innocenti, scelte dal libro in presentazione. Roberta, amica di Ninnj, ha ricordato il loro primo incontro a Basilea, gli amichevoli contatti, e la presentazione fatta da lei stessa per Ninnj e Sirio Guerrieri alcuni anni fa al Caffè Storico Letterario Giubbe Rosse, insieme a Lia Bronzi …(…)… il ricordo di Sirio è dolcissimo, ci aiuta e ci guida nel cammino, mi pare sempre di vederlo mentre sale sul treno e ci saluta con la mano. Grazie Sirio …(…)… Dopo questo commovente e doveroso ricordo di Sirio Guerrieri Duccia Camiciotti, Carmelo Consoli si sono espressi nelle loro relazioni critiche, intervallate dalle letture di Andrea Pericoli.

Di seguito alcuni passi delle due relazioni:

Duccia Camiciotti: Iniziare subito dalla sensazione penetrante (e non concetto – dico io – perché il lirismo in qualche modo sfronda il pensiero e i contenuti in genere, pur questi ben presenti) dell’Assenza. E con questa parola non intendo né il niente, né l’impalpabilità (pur essendo essa presente nel melodioso sfiorare il tutto come delicato tocco su tasti di pianoforte classico), né tantomeno l’inesistenza d’una tematica sia pure inerente il singolare melodioso climax lirico. Quello che ho percepito, dato che questa fascinosa lirica tocca, in ciascuno, le corde più singolari dell’anima, è quasi una nostalgia, un rimpianto un desiderio disperato se pur dissolto nel dubbio. Di penetrare fino in fondo, fino all’ultimo il significato delle cose, che pure non presentano, al dispiegarsi del ragionamento, una risposta esaustiva. Come mai – si potrebbe chiedere l’Autrice – questo elemento così bello è anche tanto misterioso, e si nasconde alla mia analisi ultima. Per questo, forse, io insisto nel SENTIRE, nel descrivere e basta, nell’evocare e nel chiamare, perché non posso fare altro. Ma questo è solo il dialogo che ho immaginato fra Ninnj Di Stefano e le sue contemplazioni concrete, le COSE insomma …(…)… . E’ un’assenza più plausibilmente avvertita come un ALTROVE di difficile, per noi, decifrazione. E’ certo che nel cosmo tutto è simile ma niente così scrupolosamente uguale, e pertanto ciò che ritorna, nella sua stagione, non si ripete in senso assoluto, ma si riproduce, e l’accettare il fenomeno, il nominarlo e decantarlo tramite la PAROLA diventa una coraggiosa sfida al VUOTO …(…).. Si considerino alcuni vocaboli tratti da titoli che conferiscono l’esistenza, la vita, alle rispettive evocazioni naturali o astrattamente e profondamente umane, quali, ad esempio, “riverbero alato”, “distanza”, “stelle”, “notti”, “viburno”, “cencio bianco”, “mare”, ”crepe”, trafittura, celestrità, criniera, ambrosia, tempo, magia,frangiflutti, assenzio, cristallo, rubino, onda,virgola,vento, etc., ci accorgiamo di quale spazio immenso essi racchiudano, di quanta possibilità d’estensione di senso, di superamento quasi metafisico. Non che qui la metafisica sia a bella posta esemplificata, no, ma è quasi immanente nella preziosa, levigata e contenuta lirica, Alla specie di ripetizione duemilistica e cosmica del monologo amletico, i termini da “Essere o non-essere” si trasformano in “esplodere.implodere” e non è che questa seconda versione risolva granché per tutti coloro che cercano un senso preciso e circostanziato alla vita …(…)…. La Camiciotti ha poi proseguito definendo, quella di Ninnj, magistrale poesia. …(…)… Una prima chiave di lettura, tuttavia, potrebbe essere contenuta nelle concordanze, nelle occasioni, nelle condizioni temporali terrestri necessariamente mutevoli e non certo assolute. Come in una sinfonia le note si combinano, si corrispondono, s’intrecciano così le parole, nella sinfonia del tutto, un tutto (e non a caso scrivo questa parola con la “T”minuscola) segnato irrevocabilmente dalla Luce verso la quale è stabilmente proteso. Luce biblica, neo platonica-ellenistica, luce pitagorica, aeropagitica (vedi Dionigi l’Aeropagita), luce degli stiliti del deserto, quanto di San Francesco, di Dante, Luce-logos, luce Luziana (nel “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”), pienezza ontologica minacciata e perduta di cui la nostra poetessa cerca di riappropriarsi, sia pure con sofferenza liricamente pacificata. Quello che la filosofia non può certamente può l’Arte!  Leggi la relazione integrale...

Duccia Camiciotti nel corso del suo intervento e Carmelo Consoli.

Carmelo Consoli: Partiamo subito da una affermazione e cioè che questo libro ha una sua logica ed una sua unità nel porsi come prevalente considerazione filosofica -esistenziale sui contenuti vitali che non ha velleità di risposte dottrinali ma unicamente continue esplorazioni tra stagioni di luce e consapevolezze di assenze, esili, silenzi. Vuole essere quotidiano resoconto di un vivere tra presenze amare e ritorni edenici nel tentativo di illuminare il significato dell’esistere, condotto con estrema spoliazione di sé e coscienza dei limiti umani. Rappresenta in tal senso uno scavo profondo sul percorso e sul mistero della nostra vita. Basterebbe, del resto, dare una rapida scorsa ai titoli delle singole opere per rendersene conto. Poetica fluttuante tra la percezione del finito materiale e dell’infinito oltre, (oltre la metamorfosi per citare sue parole), condotta con lucida consapevolezza attraverso una meditazione profonda, sofferta, una confessione che è canto dolce e aspro dei contrasti, lirica di nostalgie e stridori assieme al richiamo di una fede, che colmi per dirla coni suoi versi “quella insostenibile distanza dal cielo” di cui scrive: ”c’è solo da immaginare la virtù degli angeli, le loro ali, le ninne nanne di un coro di bambini”. …(…)… Una incredibile ampiezza delle interiorità scandita dal termine “Tempo” che è interprete “primo attore” della raccolta nelle sue sfaccettature varianti dall’attimo lucente, dal minimo salvifico dettaglio, da un solo giorno d’idillio, a tutto il resto che è vuoto intorno, nella sua comprensione esaltante e dolorosa. Lirica che si mostra corposa, palpabile nelle fragranze, nelle presenze in cui si agitano dentro con pari bellezza il viburno, le mortelle, oppure il rezzo, le ginestre avvampanti, o i gelsi, i melograni, le cicale sempre attenta alla ricerca della parola nel suo massimo contenuto espressivo, all’essenzialità del significato e del significante sapientemente condotta sul piano metrico con una linguaggio raffinato, icastico, con l’utilizzo di similitudini inedite, aggraziate componenti metaforiche, enjambements, piacevoli assonanze e allitterazioni …(…)…. Vi sono in questa poetica molte sintonie sia con il pensiero quasimodiano che con quello ungarettiano per le tematiche inerenti il tempo reale e metafisico, per il riscatto al vuoto universale, ma anche uguaglianze alla poesia di Mario Luzi per l’apertura a Dio e alla fede. Mi avvio alla conclusione con una riflessione sulla prefazione al libro e cioè che questa si pone come splendido, ideale corollario alla bellissima raccolta, in quanto realizzata dal’illustre Emerico Giachery che dall’alto delle sue opere e tra tutte quel mirabile saggio titolato “ Abitare poeticamente la terra” ha colto come pochi altri avrebbero saputo fare la valenza del segno luminoso emergente dai versi, lui che del nutrirsi d’armonie e di poesie d’anima ha fatto il suo modus-vivendi. Giachery ci riporta dunque inevitabilmente alla poesia e la poesia della Busà al poeta che lei stessa lucidamente definisce: “grido di sciacallo, pelle d’angelo, fiore pesto, infinito barlume della luce che tocca il mondo”. Leggi la relazione integrale...

L’autrice, visibilmente contenta, ha ringraziato i relatori, Roberta ed il pubblico presente dal quale sono intervenuti con pareri favorevoli: Anita Tosi, Anna Balsamo Vice Presidente Emerita della Camerata dei Poeti, Anna Maria Guidi, scrittrice e saggista, Clotilde Vesco, scrittrice.

Una serata di successo, qualità e suggestioni poetiche insieme a Ninnj Di Stefano Busà ed alla sua pregevolissima raccolta.

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25 aprile 2011 1 25 /04 /aprile /2011 12:18

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Vi sono molti modi d'intendere la poesia, ma da qualunque angolo di osservazione la si consideri, essa parte direttamente dal cuore ed è arduo e limitante pensarla diversamente originante, anche perché è una sollecitazione ulteriore, una sorta di extrasistole del grande ingranaggio cardiaco, che ci propone una vita extra, quasi parallela. Chi non l'ha mai provata né scritta forse non può intuirne le qualità, le rigeneranti linfe che si espandono dal cuore al cervello in una simbiosi unica, irripetibile, quasi al limite con l'estrasensorarietà di un messaggio medianico. Infatti l'ispirazione ne è la fiaccola primaria, quasi come se si accendesse una lampadina che poi inesorabilmente viene spenta. Se in quel preciso momento non si prende nota c'è tutta la possibilità che si perda il contatto per sempre con le sinapsi che, partendo direttamente dall'area di Broca, (parte del cervello abilitata al linguaggio), giungono fino alla scrittura, atto ultimo di quel sottile fascino che calamita la Poesia e ne fa correi il sentimento, le emozioni, le suggestioni, entro un'aurea di infinite e progressive digressioni, orientamenti e accenti.

La scrittura, vale a dire, il gesto di affidare alla storia di ognuno, la  potenzialità del pensiero si manifesta in ciascuno attraverso la ristrutturazione di un processo linguistico trasversale allo scrivere.

La Poesia è l'habitat ideale della lingua, orientata a <collocarsi> con l'immaginazione, la fantasia in una lettura lenta e ponderata, "avanzata" potremo dire. La Poesia poi, non può fare a meno dell""oralità". Come Jurij Lotman, ne intuiamo la scrittura come un sistema di modellizzazione dipendente dal linguaggio. Il discorso della Poesia è inseparabile dalla misura e dal diverso grado della coscienza intellettuale umana. La poesia, da sempre, ha affascinato l'umanità e l'ha fatta riflettere su di sé fin dai suoi primi stadi^. Il pensiero creante, servendosi proprio di quel medium, intercetta un linguaggio alto, che si traduce in una percezione mutante, organizzata dalla mente per essere impressa alla consapevolezza degli individui che la emanano, quindi la poesia sta nel suo interagire al prodotto mentale della trasformazione del concetto logico. la Poesia ha come primaria conoscenza il senso illimite del linguaggio, il suo silenzio, la sua mobilità che diventano rapporti privilegiati con gli altri, ovvero coi suoi fruitori.

La Poesia infine è un'interazione tra le lingue colte, perché sa cogliere le sfumature, le allitterazioni, le interferenze della lingua anteponendole e sottraendole alla incomprensione derivante dal linguggio comune, involuto e  imponendole un'altra veste più evoluta, più raffinata, più colta.

La poesia enfatizza l'interazione tra le parole-suono e lo spazio-scrittura, la rende leggibile e interiorizza il significato profondo del <verbo> che assume "mero" prestigio, poichè giocando (si fa per dire) con le parole, assicura una sua dialettica alla testualità, ovvero allo spazio che paradossalmente la riveli.

La Poesia in concreto è <decostruzionismo> della coscienza intellettiva.

Ovvero, un genere d'arte verbale superiore, domina tutti gli altri generi, poiché è alla base dall'alfabetizzazione che chiameremo artistico-scritturale. La poesia lirica ad es. implica una serie di induzioni a procedere in cui si colloca l'io poetico, immettendola nel flusso del tempo e della storia.

La poesia sta all'esperienza umana come la narrazione sta alla logica della trasmissione del pensiero, che ne ha registrato il pieno sviluppo delle proprietà virtuali della specie. Un passaggio narrante che possiede, tuttavia, tutte le proprietà induttive della lingua "artisticamente"  - ovvero -  fa capo allo sviluppo e ai mutamenti interculturali e all'evoluzione dell'uomo.

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7 aprile 2011 4 07 /04 /aprile /2011 17:57

di Ninnj Di Stefano Busà

 

L'era capitalista sta per essere schiacciata sotto il peso delle sue nefandezze.

Capitalismo nella società del postmoderno sta oggi ad indicare un apparato negativo, un sistema di far fruttare il denaro in maniera disonesta e indiscriminata, senza regole, senza remore morali, odioso libertinaggio speculativo di forme economico-finanziarie che hanno assunto la caratteristica di veri cataclismi nell'ottica brutale di una logica violenta e millantatoria, che si avvale solo d'ingenti somme di denaro da far fruttare al massimo del rendimento consentito. La logica da cui prende le mosse origina da una contaminazione a livello egoistico personale che fa di tutto per "arraffare" ricchezza inquinata, dove il malaffare e la disonestà fanno la parte del leone, nutrendosi di volta in volta di ordinamenti obsoleti, di sotterfugi e millanterie, contravvenendo ogni remora morale. Esorbitante diventa l'individualismo egocentrico e l'accaparramento di guadagui illeciti.

Il termine "capitalista" si trova per la prima volta secondo P: Bernitt nel 1790 pronunciato da Mirabeau, stante ad indicare nella Francia di allora una persona ricca, con un potere enorme ricavato esclusivamente dai redditi delle sue sostanze. Il significato del termine divenne in seguito dominante e fu usato in molti altri casi in cui vi fosse necessità di speculare sul reddito e di farlo fruttare indiscriminatamente, invadendo anche il denaro pubblico e investendolo di ufficialità, ove non vi sia neppure l'ombra delle garanzie, contaminando in tal modo, l'economia che si vede invasa da titoli-spazzatura che vanno ad intaccare l'economia del povero risparmiatore indifeso di fronte a cotanto meccanismo di genialità perversa.

Per "capitalismo", allora, è inteso un sistema di produzione susssidiaria che scinde il reddito da lavoro, anzi lo esclude: facendo della forza produttiva dell'interesse e dell'investimento la sue armi vincenti, il suo massimo punto di forza. Già il termine stesso: "interesse privato" esprime un luogo intensamente accrescitivo di trasformazione del guadagno che da facile diventa illecito e, in tal modo, trascina con sé tutti gli egoismi ad esso connessi e le negatività, le nefandezze implicite o esplicite di attribuzione del denaro con caratteristiche improprie, quasi sempre di natura deprecatoria e iniqua.

Spesso il termine "capitalismo" è seguito da oscuri presentimenti negativi, quali espressioni derivanti da una frattura che, se sta nell'ordine delle cose come iniqua, ne segna certamente una involuzione di segno etico-morale, in funzione di quella sventurata sete di potere e di arrivismo economico che ogni individuo porta in sé, nella sua parte più malvagia e perversa.

In realtà, nella società del postmoderno il dio-denaro divenuto segno distintivo di malaffare e di mercato illecito, ha prodotto solo scompensi e catastrofiche inversioni di accaparramenti illeciti  dell'economia planetaria; ha forgiato una società "malata", priva di scrupoli, compromessa a tal punto da rappresentare un pericolo per le nazioni, poiché va ad inserirsi in un sistema di scambi direzionali difettivi dell'ordinamento etico del mondo.

Il "capitalismo" moderno accoglie in sé il fondamento più deprecabile dell'individuo, in quanto l'istinto perversivo di accaparramento dei beni materiali è divenuto nel tempo sempre più invasivo ed esponenziale dominandone il senso speculativo con mezzi illeciti. I danni che ne derivano sono nell'ordine morale, ma anche di "potere" sugli altri.

La degenerazione del prodotto speculativo inquina e corrode la mente, paralizza le capacità economico-finanziarie di un popolo o nazione, riduce le norme vigenti in mere e improponibili devianze, entro cui il genere umano viene stritolato da un complicatissimo meccanismo che lo ammorba e corrode, in un deterioramento e pervertimento della logica e della coscienza. 

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17 febbraio 2011 4 17 /02 /febbraio /2011 14:15

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Dove il Dio viene completamente escluso e ignorato c'è la crisi d'identità, la frattura spirituale di chi non si accontenta solo di essere nel mondo, ma si chiede qual'è lo scopo, quale il luogo di arrivo, da dove viene, dove va.

Tutte domande scomode oggi che la spiritalità non ha modo di esprimersi, non ha diritto d'asilo in nessuna parte del pianeta e la crisi globale ha coinvolto le generazioni del post-moderno col fallimento dell'uomo dinanzi ail suo mito, condannato a vivere senza significati morali, attanagliato dal dubbio, dall'insicurezza, dalla incombente fine di tutto.

Ma ipotizziamo di ricominciare da noi, superare lo stadio della fisicità, di andare oltre la materia, di ritrovare l'equilibrio tra corpo e anima, di mitigare i morsi delle sollecitazioni mediatiche dellìera informatica, per proiettarci in un futuro diverso, per imprimerci nell'anima il segno della vera umanità, non delle masse informi di agenti deleteri che premono sulla nostra interiorità trafitta, sulla nostra anima sospesa a mezz'aria, tra il materialismo e lo spiritualismo. Allora, può sorgere una vivida alba per ristorare gli afflitti, le menti condizionate e rese cieche e sorde dal frastuono quotidiano, dall'intollerante fanatismo di voler invadere il cuore e la mente  con episodiche avventure transitorie.

Dagli anni cinquanta in Occidente si è aperta una faglia, si è diffusa una crisi che ha coinvolto e surclassato i miti del passato, senza riempirla di altri valori arricchenti.

La nostra cuspide spirituale è giunta all'ultimo stadio di emarginazione della spiritualità. Si sono trasformati i meccanismi del mondo, il senso di concepire i grandi paradigmi umani. Si è diffuso un grande caos che ha mutato il vecchio senza proporre nuovi modelli.

Siamo ad una svolta storica imponente, di portata planetaria.

Il mondo è (ri)visitato alla luce di una tribale e ingombrata scenografia di fattori ambientali, culturali, tecnologico- economistici, religioso/politici che non privilegiano la sacralità, non fanno la differenza tra il vero e il falso, tra il bello e l'onesto, tra la vita e la morte.

Tutto è come avvolto da una nebulosa che impedisce di giungere alla verità, perlomeno alla realtà non distorta da paradigmi di piacere, di passioni, di impulsi che vogliono esplodere. Ma il nostro viaggio non si consuma in questa vita, se come insegna la fede, qualcosa di trascendente c'è nella metafisica del corpo umano, noi dobbiamo sforzarci di interpretarla, di capirla, di indirizzarla verso quei fattori positivistici che senza perdere d'occhio la materia e la tecnologia ad essa inerente, ci porti a considerare l'uomo come <nuovo>, ovvero, un soggetto dominante della scena del mondo che impersonifica una visione più eletta di vita, un impulso che ne animi la rinascita e ci preservi dalla sua fine miserevole. 

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17 febbraio 2011 4 17 /02 /febbraio /2011 10:30

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Dentro di noi ne avvertiamo l'esigenza, lo stimolo, il conforto che ne potrebbero derivare, ma siamo ormai incapaci di rintracciare la nostra "spiritualitò" fortemente oltraggiata, derisa, ignorata, trascurata dala immensa mole di sollecitazioni esterne, che abiurano alla profondità e verità del soggetto-animatore che dentro di noi abita.

In qualche attimo di assoluto privilegio, "qualcosa" canta in noi, ci consente una parziale visione dell'assenza, chiede, talvolta, a gran voce di essere rigenerata, alimentata. E' la voce della coscienza come promessa dell'assoluta, indivisuìibile percezione di essere più che di avere. Riempirci di splendore, di luce, di desiderio , raggiungere intinerari spirituali che ci arricchiscano all'interno, che ci progettino qualcosa di alto, di nobile, di migliore per la nostra esistenza.

Una vita degna di essere vissuta è l'anelito di tutti.

Ma cosa può significare oggi il concetto stesso di spiritualità non osiamo neppure immaginarlo. Non ne abbiamo neppure l'idea, lo avvertiamo come percezione, come essenzialità di un tutto, di un corpus ineludibile che si presenta a noi come "anima", concetto astratto che si qualifica come irrangiungibile meta di un quotidian percorso dalla tenebra alla luce.

Ma dove stanno il buio e dove la Luce...non riusciamo a comprenderlo. C'è un vuoto dentro di noi, un vuoto che ci modella, senza la nostra volontà, incolpevolmente o non, verso un'informale, stereotipata visione della vita.

Allo stesso tempo, siamo stritolati dalle passioni, dai desideri, dai tormenti quotidiani che ci allontanano sempre di più dal nucleo centrale del nostro esser(ci). Brancoliamo nel vuoto assurdo delle nostre incapacità pregresse, ma non abbiamo sensazioni di superamento  dallo status di frustrazione. Il vuoto ci prende, ci spende nella miriade di sue profanazioni, corrutele, inganni.

Vorremmo ritrovare, indubbiamente, il senso della sacralità, ma siamo infiammati dalla grettezza, dalla pura e semplice incapacità a donarci senza remore ai moti del cuore, agli impulsi del sentimento, alle vicende amorose, sociali, politiche, religiose con una visione più ampia e meno banalizzante.

Da ogni parte si avvertono i sintomi di questa atroce contraddizione. Siamo la domanda senza risposta, l'opposto e il contrasto vivo e tagliente della nostra miseria spirituale.

Stiamo assistendo ogni giorno di più allo sfaldamento di tutti i valori, alle remore etiche, al faòòomento dei significati più elevati e sobri.

Siamo di fronte al diffondersi di un <indivisualismo> senza precedenti, una sperimentazione delle passioni e una  diversificazione dei sistemi esistenziali senza freni.

Ci occorrono nuovi modelli, nuovi mondi da esplorare, nuove vie da percorrere: il tragitto verso la Luce è inquivocabile o ci si allinea per raggiungerlo, oppure soffriremo sempre di più il vuoto, la desolazione, l'annientamento delle risorse spirituali. 

Siamo ad uno sbocco finale. Il passaggio da un'era all'altra ci ha visto spettatori impassibili scivolare verso abissi fondi. Oggi è tempo di tirarsi indietro, di iniziare a percorrere un sentiero che ci conduca alla consapevolezza di essere su una strada senza ritorno: allora, o reiterare l'inganno o, modificare l'assetto, l'opportunità di crescita spirituale.

L'antico metodo scientistico ha messo in luce che il matrimonio tra scienza/fisicità non sta più in piedi, ne ha ampiamente mostrato i limiti. La fisica quantistica ne ha esaltato l'universalità materialistica della visione newtoniana, incentrata sull'atomismo dei nuclei e sugli atomi isolati, racchiusi nei margini di spazio-tempo.

Oggi, dopo l'illuminismo, attraverso la coscienza dell'intelletto pensante, ma anche dell'intelligenza dell'anima la concezione dell'universo è vista sotto un altro aspetto, il dettaglio non è di poco conto. esiste un legame tra corpo e anima, tra sacro e profano.

E' davvero priva di scopo la nostra esistenza? c'è senso ad essere qui, ora nella nostra veste di protagonisti del nulla o dell'indissolubile mistero che ci  trascende? Esiste la metafisica, esiste Dio, c'è legame tra la religione e la spiritualità che tanto evochiamo?

La sfida è aperta.Tutto sta nel dirigere bene le forze interne a noi, non sprechiamo fiato ad evocare assurde dinamiche di funzionalità, mettiamo in moto le nostre sinergie e affrontiamo la prospettiva e la sacralità della vita con occhi diversi, ma soprattutto con nuovi metodi e nuove discipline che non contrastino lo spirito che abbiamo dentro.

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