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14 agosto 2012 2 14 /08 /agosto /2012 20:26

di Ninnj Di Stefano Busà 

 

Un poeta difficile, non ermetico, certo, ma saldamente votato ad un ché di oscuro e indecifrabile linguaggio che lo porta a considerare la poesia in chiave di lettura realistica, attraverso un’impronta icastico/ironica fondamentale, non sperimentale.

Le poesie di Finzi mostrano una struttura mai sentenziosa, né didascalica, con un coordinamento elaborativo lucido e analitico che s’interseca ad una orchestrazione mnemonico-interpretativa del travaglio umano.

La sua poesia mostra una partitura di note sempre alte, una temporalità che celebra le sue necessità, attraverso elementi suggestivi che non gravano mai sulla letterarietà, ché anzi si mostra omnicomprensiva nel bisogno di darsi al mondo in armonia di desideri, di sogni: “non c’è mondo al di fuori/ del mondo/ non c’è vita al di fuori del come siamo”....Vi è una sottile ironia a sostenere i diversificati linguaggi, ora sentimentali, ora sociali, politici, etc.

Vi è in questa poetica l’indagine microscopica del dover essere, in piena assonanza con l’essere che ne intuisce storture e brutture, dentro una metastasi del bene destabilizzante e paralizzante. Il libro: L’avventura poetica ne fa sfoggio, ipotizza una condizione del bene inattuabile nella società  e nella  civiltà moderne. Una storia che non può contare neppure sul distacco, sull’atarassia del soggetto nei confronti del mondo e della vita, perché è un viverci dentro pur nella misura temporale che essi consentono:“il puro limite del cuore non è sufficiente”/.../sullo sfondo sembrano sogni/ e sogni siano,” Versi asciutti nei quali sarcasmo e ironia vengono a mescolarsi e necessitarsi per loro precipua natura, alla libertà di vivere di ciascuno. Sottrarsi all’ascolto, dunque, o meglio prestarsi all’interruzione della scena del mondo?

Una provocazione in limine risultano i versi: “ bisogna/ non scrivere più, finire/ finirla di frinire/ fitti di mosche/ e spleen da cortile” ovvero, come recita tra le righe Finzi: avere il coraggio di estranearsi, quando la ragione profonda del congedo “è un filo di dolore" ? E qui entra in gioco la saggezza del poeta, la sua filosofia di vita prestata alla poesia.

 

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