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27 febbraio 2011 7 27 /02 /febbraio /2011 14:56

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Raccolta intensa e suggestiva, quella uscita vincitrice al Premio Histonium di Vasto.

Si tratta di una silloge armonica e compatta che possiede la caratteristica principale di essere un campanello d'allarme per la società moderna, la quale assiste impotente a genocidi, a diaspore, alla tratta dei bambini a scopi di guerra. In taluni paesi del mondo, per lo più a carattere dittatoriale, essi vengono veicolati come bombe a mano, in territori di guerriglia: bambini-soldato come Naftal ad es. il quale ha visto azzerata la sua fanciullezza, bruciata e profondamente umiliata in territori di morte la sua giovane vita, in quei luoghi profondamente colpiti da rais feroci e dissennati, dove essere bambini non significa <spensieratezza> come nel resto del mondo, ma interpretare la sorte come un destino atroce di sofferenza, in un groviglio di sangue e di stenti.

Marina Pratici li paragona a piccoli fiori che vengono strappati alla terra madre per essere deportati come soldati in territori dove la violenza è parola d'ordine, dove, assistere allo sterminio di altri esseri umani innocenti è un fatto abituale.

Da qui, la tragedia, il dramma delle loro piccole esistenze, delle loro vite spezzate, dei sogni o giochi di bambini traditi o defraudati, strappati spesso a viva forza alle loro famiglie, essi vengono addestrati in territori inospitali dove un destino di morte e di atrocità li attende.

Da questa antitesi di disperata condizione esistenziale nasce il dettato lirico di Marima Pratici, che a volte assume il tono di una cantica di morte, altre come Naftal la racconta con toni accorati e una pena incontenibile: "non ha più madre, non più padre/ solo padroni che addestrano il suo corpo/ con danze di machete"

Parole lapidarie che Marina usa per dichiarare il suo disagio emotivo, la sua sofferenza per il loro disadattamento affettivo, per la privazione dei diritti umani perpetrata a danno di quelle povere creature votate ad una fine atroce.

Marina Pratici usa un linguismo corroborato da una dignità e da una sensibilità materna, adotta toni apparentemente pacati, mentre vorrebbe urlare la sua rabbia, la sua profonda pietà a quei fanciulli sfortunati, lo fa dolorosamente in sottotono rispetto alla sofferenza degli episodi trascritti, ma si evince il disagio, il senso di dolorosa impotenza di fronte al dolore tragico del mondo.

La sua carrellata alla sofferenza investe anche altri momenti del disadattamento ambientale e morale, lo strazio e il tormento umani avvertiti, in un altro avanposto di dolore e frustrazione, di solitudine: evidenzia lo stato degli anziani della Casa di Riposo:"Ti aspettano in cornice di finestra/ con occhi lucidi di cucciolo".

La gioia si mostra spenta sui loro volti, al di là delle vetrate intuiscono la loro precarietà, l'affievolirsi delle loro forze vitali, la rassegnazione che si va delineando, in altre parole il filo della loro esistenza che diventa sottile, come la loro speranza o il sorriso che si spegne piano, in silenzio, quasi pudico (per non dar fastidio).

Gli anziani sanno soffrire senza scalpore, quasi con sottile malinconia, in tono rassegnato, eppure  carico di abbandono, di faticosa presa di coscienza, di rassegnata e mesta sconsolatezza..

La poetessa prende a metafora delle sue profonde riflessioni "la rosa" esempio perfetto della ciclicità esistenziale. Questo fiore bellissimo sboccia, esplode nella fioritura profumata dei suoi petali, sfiorisce e muore, proprio come gli esseri umani. A loro, a tutti gli esseri che dolorosamente vivono condizioni di abbandono e di solitudine,  Marina Pratici ha dedicato questo libretto che ha ricevuto l'onore di essersi classificato al primo posto ad un Concorso tanto prestigioso. 

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